PHOTO
Tolmezzo
Qualcosa non avrebbe funzionato nella gestione sanitaria al carcere di Tolmezzo. Il Covid a Tolmezzo ha contagiato quasi la totalità dei detenuti, tra l’Alta Sicurezza e 41 bis. Persone che teoricamente erano in sicurezza, isolati da tutti, sono risultate contagiate. Come abbiamo visto con l’articolo di ieri de Il Dubbio, tante sono state le mancanze che hanno comportato un clamoroso fallimento di tutta la catena di controllo. Ora però arrivano anche i primi esposti in procura. È il caso di un detenuto in attesa di giudizio recluso al carcere di Tolmezzo, ultrasettantenne con patologie pregresse e risultato positivo al Covid. Già durante la prima ondata era stato rassicurato da una nota del ministero della Giustizia, inviata al Garante nazionale delle persone private della libertà che si era interessato del caso. La nota del ministero è importante, perché lo stesso ha evidenziato il fatto che «risulta ubicato in camera singola dal 25 marzo 2020, al fine di tutelare la propria salute, essendo un soggetto a rischio (ultrasettantenne) e affetto da diverse patologie». Ciononostante, sempre il ministero ha evidenziato che tutto era però sotto controllo. Infatti si legge testualmente che «al 20 maggio c.a. i detenuti precedentemente positivi, si sono negativizzati e sono stati dichiarati guariti; anche il personale è risultato negativo agli accertamenti disposti dall'Azienda sanitaria. Lo stesso personale è dotato di Dpi e di particolari dispositivi vengono dotati le unità di personale che svolgono servizio nella Sezione Isolamento Covid, destinata ad ospitare detenuti in isolamento precauzionale/sanitario». Il Covid a Tolmezzo è entrato nei luoghi considerati sicuri Tutto bene, quindi? Purtroppo la rassicurazione del ministero è stata smentita in seguito dai fatti. Il suo legale, l’avvocato Giovanni De Stefano, ha depositato un esposto in procura chiedendosi cosa non abbia funzionato visto che poi alla fine Il Covid a Tolmezzo è divampato entrando nei luoghi (si pensi al 41 bis) considerati sicuri. Ha chiesto alla procura di identificare i responsabili del focolaio che ha coinvolto quasi la totalità dei detenuti. Nella qualità di difensore, nelle settimane scorse, l’avvocato De Stefano ha avuto contatti telefonici e via “Skype”. In tali occasioni ha appreso con una certa preoccupazione dal detenuto ultrasettantenne che il medico dell’istituto penitenziario era stato isolato per sospetto caso di infezione da Covid. Circa due settimane fa, in un colloquio telefonico con il detenuto, l’avvocato ha appreso della presenza all’interno della struttura penitenziaria di detenuti in stato febbrile, i quali sarebbero stati curati senza adottare alcuna opportuna cautela, prima tra tutte l’isolamento, e che non vi sarebbe stato alcun trattamento “particolare” nei riguardi del suo assistito, visto l’età avanzata ed il rischio di contagi. Non solo. Detenuti manifestavano già i sintomi Nell’esposto si legge che sempre il detenuto contagiato di Covid a Tolmezzo, supportato stavolta dall’avvocata Sara Peresson del foro di Udine, ha informato il legale che l’area riservata ai detenuti al 41bis, era ed è oggetto di focolaio da coronavirus e, che, la situazione, benché stesse degenerando, sarebbe stata affrontata in maniera superficiale ed approssimativa dall’amministrazione. Come ha già riportato Il Dubbio, la stessa Peresson, infatti, viene avvisata dall’amministrazione penitenziaria, al fine di usare la cautela della quarantena fiduciaria, visto che durante i colloqui ha avuto contatti con soggetti risultati positivi all’infezione. Detenuti, ricordiamo, che già manifestavano sintomi riconducibili al Covid a Tolmezzo. Poi cosa è accaduto? Nella mattinata di venerdì scorso, il detenuto ha contattato telefonicamente l’avvocato De Stefano evidenziando di aver ricevuto gli esiti del tampone e di essere risultato positivo al Covid. Ha spiegato che da qualche giorno, ormai, aveva tosse secca affanno e decimi di febbre, ma che nessuna terapia veniva allo stesso praticata se non la misurazione della febbre e la misurazione dell’ossigenazione del sangue con l’elementare “saturimetro da polpastrello”. Solo qualche tempo dopo ha iniziato a riceve cure specifiche, anche antibiotiche. Le rassicurazioni del ministero della Giustizia Tuttavia – si legge nell’esposto – il detenuto ha denunciato che «nessuna previsione di analisi cliniche ospedaliere o esami al torace sarebbero stati possibili in quanto la struttura carceraria non è dotata di tale attrezzatura e che non era preventivabile la possibilità di disporre esami clinici presso gli ospedali pubblici per mancanza di personale penitenziario e sovraffollamento delle strutture». Se confermato, ciò appare grave visto che nonostante le rassicurazioni della nota del ministero, il detenuto si trova – secondo quanto denuncia l’avvocato – leso del suo diritto costituzionale a essere curato e preservato dalla stessa amministrazione che ne detiene la custodia. Anche perché il detenuto, anziano e con patologie pregresse, sin da subito avrebbe accusato chiari sintomi dell’infezione e sarebbe stato lasciato per giorni senza alcun tipo di protocollo medico sanitario, il che – secondo l’avvocato – «ha causato sicuramente l’insorgenza delle superiori patologie e quindi la configurazioni di gravi lesioni personali che si sarebbero potute evitare seguendo un “piano” organizzato contro l’evoluzione e la diffusione della pandemia». Il detenuto non può accedere a strutture sanitarie per i controlli Il detenuto difeso dall’avvocato De Stefano è affetto non solo da esiti di intervento chirurgico per neoplasia mucinoso-cistica della coda del pancreas, ma anche da pluripatologie a carattere cronico dell’apparato cardio-vascolare. «Da considerare – denuncia l’avvocato nell’esposto -, inoltre, che la condizione patologica derivante dall’infezione da Covid ha negato e nega, allo stesso, la possibilità di poter accedere presso strutture sanitarie per sottoporsi ai periodici controlli clinici e strumentali e di laboratorio, resi necessari dalle patologie cardio-vascolari». Come detto, la situazione sanitaria è sfuggita di mano. «Cosa non ha funzionato? Quali contromisure si stanno adottando per evitare che tale situazione, evidentemente sfuggita di mano, degeneri a causa di condotte poste in essere da chi doveva controllare ed esercitare prevenzione e non lo ha fatto?», chiede l’avvocato nell’esposto in procura. Continua chiedendo come si intende preservare la salute dei detenuti come il suo assistito in attesa di giudizio, ultrasettantenne e presunto innocente fino al terzo grado di giudizio. «Come può – prosegue l’avvocato De Stefano nell’esposto - aver circolato il virus all’interno di una struttura super protetta, in questo modo così dilagante? Quale anello della catena di montaggio non è stato rispettato e da chi?».