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sciopero della fame
I numeri dei contagi crescono, l’inevitabile chiusura delle attività nelle “zone rosse” carcerarie dove ci sono importanti focolai, riportano nella disperazione i detenuti e i familiari stessi angosciati per i propri cari. Soprattutto per quelli che hanno già gravi patologie pregresse. Il rischio che possa ripetersi una rivolta come è accaduto a marzo diventa nuovamente concreto. Ma c’è un antidoto, che è la non violenza di pannelliana memoria. Quella che ha fatto conoscere ai detenuti il metodo più ribelle di tutti: l’arma della legge attraverso ricorsi, esposti e denunce contro tutto ciò che nella condizione del carcere viola i suoi diritti. E poi c’è l’altro metodo non violento, lo sciopero della fame promosso da Rita Bernardini del Partito Radicale. Ogni giorno che passa aumentano le adesioni, dai nomi comuni a nomi importanti e trasversali. Dal deputato Roberto Giachetti a Salvatore Buzzi, dai familiari dei reclusi al già senatore e presidente di “A Buon Diritto” Luigi Manconi. Non manca una grande mobilitazione dal basso che raccoglie l’adesione di numerosi familiari dei reclusi. C’è il gruppo Facebook “Diritti umani dei detenuti calpestati da uno Stato assente” amministrato da Monica Bizaj che ha già coinvolto nella staffetta dello sciopero della fame circa un centinaio di familiari, così come sta dando un incisivo contributo il regista Umberto Baccolo, raccogliendo anche l’adesione di Rainaldo Graziano, l’ex leader di Meridiano Zero e figlio di uno dei fondatori di Ordine Nuovo. Rainaldo, da tempo, gestisce la cooperativa sociale Arnia che si occupa anche del reinserimento sociale dei detenuti. Da destra a sinistra, quindi, cresce l’appoggio allo sciopero della fame per intavolare un dialogo al governo: quello di attivare qualsiasi misura, amnistia e indulto compresi, per ridurre sensibilmente la popolazione carceraria. Succede dovunque, nelle carceri italiane, che ci siano dei disperati per l'astinenza, o disperati imbottiti di terapia, o semplicemente disperati che incendiano il materasso e rischiano così di soffocare assieme ai loro compagni. Disperati che si tagliano, che sanguinano, che ingoiano qualunque cosa per cercare di essere “visibili”. Modi estremi di denuncia che poi, com’è accaduto durante le rivolte di marzo scorso, possono sfociare anche in violenze di dimensioni devastanti. Lo sciopero della fame è l’opposto, è la non violenza che dovrebbe essere appunto recepita dalle istituzioni, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in primis. Il dialogo è possibile, prima che la situazione sfugga di mano. E il fatto che il Covid sia entrato anche nei 41 bis del carcere di Opera e Tolmezzo, fa comprendere in pieno la reale dimensione dell’emergenza.