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«È stato detto che con David Ermini per la prima volta viene nominato un vicepresidente indicato dall’opposizione in Parlamento: non solo non è così ma l’esperienza ci indica come sia infondato riportare meccanicamente sul Csm le logiche e le contrapposizioni delle formazioni politiche”. Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore di Milano parla dell’elezione del dem Ermini alla vicepresidenza del Csm.
Dottor Bruti Liberati, non è la prima volta che viene nominato un uomo della minoranza...
Nel 2002, presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, venne eletto in quota Margherita Virginio Rognoni. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli si affrettò a denunciare il “voto contro il Governo”, ma venne immediatamente corretto dal presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e dallo stesso Berlusconi. Rognoni contrasterà con fermezza gli attacchi virulenti che in quel periodo furono portati alla magistratura e a singoli magistrati da esponenti del Governo in carica.
Facciamo un passo indietro. Nelle prime consiliature la nomina del vicepresidente si riduceva però ad una ratifica della personalità indicata dal partito di maggioranza relativa, la Dc.
Certo. Si trattò di politici con lunga esperienza parlamentare. La prassi venne rispettata anche nel 1972 quando il “predestinato” Giacinto Bosco, già ministro, fu ritenuto “troppo ingombrante” e i magistrati di quel Csm, allora interamente dominato dal gruppo moderato di Magistratura indipendente, pensarono, prima di allinearsi, secondo quanto riportato in seguito in un libro di memorie di un componente laico ( il prof. Giuseppe Ferrari), di nominare un altro democristiano. La Dc farà tesoro di quell’esperienza e nel 1976 portò al Csm giuristi di grande livello: Vittorio Bachelet, cui succederà Giovanni Conso. Nel 1981, però, si ritornò all’antica con il senatore De Carolis. Non essendosi prospettata una candidatura contrapposta, Magistratura democratica votò scheda bianca…
Fu la prima manifestazione di aperto dissenso…
Se la Costituzione ha previsto un’elezione è ovvio che vi siano maggioranze e minoranze e francamente non si comprende perché, di fronte ad un fatto del tutto fisiologico, taluni commentatori, come in questi giorni, drammatizzino parlando di “spaccatura nel Csm”.
Molto chiaro. Lei era componente del Csm durante la vicepresidenza De Carolis. Che ricordi ha?
Fu una lezione significativa. Il vicepresidente, quali che siano le modalità della elezione, viene portato ineluttabilmente a distaccarsi dalla provenienza politica. D’altronde egli è pur sempre il vice del Presidente della Repubblica e, per altro verso, presiede la sezione disciplinare, organo giurisdizionale tenuto alla imparzialità. Con De Carolis si arrivò poi alla singolare situazione che venne sostenuto con forza soprattutto dai consiglieri che non lo avevano votato, quando fu oggetto di attacchi durissimi verosimilmente ispirati dalla potente corrente democristiana, che non aveva gradito la fermezza mostrata dal Csm nel procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati appartenenti alla loggia P2.
E poi?
Nel 1986 il “predestinato” fu ancora una volta un politico democristiano di grande peso, già ministro, l’on. Pennacchini, ma questa volta non passò e venne eletto il prof. Cesare Mirabelli. Nel 1990 i voti si divisero tra un politico democristiano Giovanni Galloni e il professore Alessandro Pizzorusso, che era stato indicato dalle sinistre. Il seguito mostra il “democristiano” Galloni difendere con intransigente fermezza le prerogative del Csm di fronte agli attacchi del “democristiano” Cossiga, presidente della Repubblica. Con il senno del poi si può dire che proprio la grande esperienza politica di Galloni abbia consentito di superare uno dei momenti più difficili nella storia del Csm.
I suoi ex colleghi di Area volevano un “non politico”…..
Non sta a me dare “interpretazioni autentiche” della posizione dei colleghi, d’altronde resa pubblica con un comunicato molto chiaro: “Abbiamo, quindi, deciso di valutare i possibili candidati esclusivamente in considerazione del loro percorso professionale, delle specifiche capacità tecniche e della loro autonomia dalla politica e senza farci condizionare dai gruppi parlamentari che li hanno indicati”.
L’elezione di Ermini è una vittoria del Pd?
Non ha senso vedere nelle elezione di Ermini una “vittoria del Pd” così come non ha senso vedere nel voto dei consiglieri di Area un allineamento sulle posizioni del M5s che aveva indicato il prof. Benedetti. Su Ermini pesava non il fatto di essere un politico, ma di venire da una recentissima esperienza come quella di responsabile giustizia del Pd. Su Benedetti pesava il fatto di non avere avuto esperienze politiche. Una valutazione comparativa di queste diverse caratteristiche delle persone, nei cui confronti tutti avevano espresso apprezzamento, ha determinato il risultato finale.
Il ministro della Giustizia, però, è stato molto critico.
E’ davvero amaro constatare che Bonafede, di solito prudente, con l’accusa alla maggioranza consilia- re di “fare politica contro il governo” sia riuscito con una sola battuta ad azzerare la apprezzabile scelta di metodo del suo partito di indicare dei professori e non esponenti politici di riferimento. Lo stesso, come ho ricordato, fece a suo tempo il ministro Roberto Castelli, smentito però da Berlusconi; questa volta non abbiamo sentito la voce del presidente del Consiglio in carica. Ma tant’è. Non credo di andare lontano dal vero ipotizzando che il primo a trovarsi in imbarazzo sia stato proprio Benedetti. Ermini, come è apparso già dalla sue prime dichiarazioni, sarà il primus inter pares del Consiglio e non l’espressione della maggioranza che lo ha eletto.
Ora va di moda il sorteggio per i componenti del Csm...
Sul sorteggio ho visto che si è espresso a favore con termini piuttosto crudi e sbrigativi il senatore 5Stelle Giarrusso, come strumento per “far sparire” le correnti della magistratura. Sorprende che la storia non insegni nulla. Negli ultimi venti anni sono intervenute numerose modifiche del sistema elettorale del Csm: tutte, nate con l’intento di contrastare le correnti hanno ottenuto esattamente l’effetto opposto. L’ultima, grazie al meccanismo elettorale adottato, ha enfatizzato al massimo il ruolo delle correnti. Tanto è vero che i magistrati che hanno criticato il sistema delle correnti, volendo, come è comprensibile, essere rappresentati al Csm si sono puntualmente costituiti in “corrente”, A& I, e poi hanno proposto agli elettori candidature “blindate”.
E poi bisognerebbe modificare la Costituzione.
L’art. 104 stabilisce che i componenti togati “sono eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie” e preclude anche la furbesca proposta intermedia di una elezione non tra tutti gli appartenenti alle varie categorie, ma solo tra una platea di magistrati previamente sorteggiati. Per non dire infatti della singolarità se si mantenesse la elezione per i laici o se si pretendesse di sorteggiarli tra tutti gli avvocati o professori di diritto. E poi comunque scelti gli eletti al Csm avranno opinioni diverse, magari si raggrupperanno di nuovo con riferimento alle correnti della magistratura o ne costituiranno delle nuove.
“Lunga vita” alle correnti?
Il sistema delle correnti, oggetto di giuste critiche quando si traduce in logiche di schieramento o di spartizione, è la espressione del pluralismo di idee che connota la società e dunque i magistrati. In Spagna, Francia e Germania, esattamente come da noi, e senza destare scandalo, vi sono diversi gruppi organizzati di magistrati che concorrono, secondo i diversi sistemi, a formare gli organi di autogoverno. L’alternativa è l’associazione unica di regime come esisteva nell’Europa dell’Est prima della caduta del muro di Berlino. Forse nell’interesse generale sarebbe meglio occuparsi di riforme dirette a migliorare la funzionalità della giustizia, piuttosto che di alchimie elettorali.