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Caro Direttore,
La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario non è più differibile. È una esigenza che non nasce adesso con il cosiddetto “caso Palamara”: fin dal mio primo giuramento come Ministro della Giustizia ho individuato come prioritario un intervento incisivo sulle degenerazioni del correntismo e sui rapporti tra politica e magistratura.
Quel progetto si era arenato a causa della caduta del governo Conte I ed è stato immediatamente ripreso con l’attuale maggioranza.
L’intervento normativo deve essere ponderato con il massimo equilibrio e deve scaturire dall’interlocuzione con tutte le forze politiche e con gli operatori del diritto.
Nel corso di questa settimana ho incontrato le forze di opposizione, l’Anm, il Cnf, l’Ocf, l’Unione Camere Penali, l’Unione Camere Civili e l’Aiga. Il metodo dialogico dovrà accompagnare le progressive evoluzioni del testo.
Abbiamo adesso l’imperdibile occasione di sancire una discontinuità rispetto alle storture del passato ma anche di gettare le fondamenta di una prospettiva nuova e più solida.
Una riforma che, senza perseguire obiettivi punitivi verso la magistratura nel suo complesso, consenta a quest’ultima di recuperare credibilità e di restituire ai cittadini fiducia nella giustizia. Come ho già detto, sono tre i pilastri della riforma: porre al centro il merito; mettere fine alle degenerazioni del correntismo; erigere un muro fra magistratura e politica.
Tutte le chat e le intercettazioni di cui si parla in questi giorni sono all’attenzione dell’ispettorato generale del Ministero. Essendo contitolare dell’azione disciplinare, non intendo commentare quanto emerge da quelle comunicazioni.
Non posso sottrarmi però alla considerazione delle dinamiche patologiche che emergono da alcune di esse; dinamiche in cui il principio del “merito” è sacrificato sull’altare della spartizione correntizia degli incarichi. Ed è proprio il principio del merito che vogliamo ristabilire, introducendo criteri oggettivi che riducano gli spazi di discrezionalità strumentalizzabili per il perseguimento di obiettivi diversi dall’unico che dovrebbe improntare quelle scelte, quello della massimizzazione dell’efficienza e della qualità dell’amministrazione della giustizia.
Uno dei punti principali è rappresentato dal sistema di elezione dei membri togati del Csm. La nostra Costituzione impedisce la configurazione di un sorteggio realmente efficace. Purtroppo, il sistema dell’unico collegio nazionale, nato nelle intenzioni dell’allora Ministro Castelli per eliminare il correntismo, si è rivelato fallimentare.
Il sistema elettorale con ballottaggio su cui stiamo lavorando parte da collegi piccoli, idonei a fare emergere un consenso maggiormente legato al territorio e alla professionalità del singolo magistrato.
Infine, un’istanza fortemente sentita dai cittadini è quella di separare nettamente la magistratura dalla politica.
Una richiesta che arriva anche dal Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa. E’ mia ferma convinzione che, nel momento in cui un magistrato compie la scelta di entrare nell’agone politico, non possa più tornare alla magistratura giudicante o requirente.
Un magistrato non deve solo essere terzo ma deve anche apparire tale.
La portata e la profondità del mutamento, la sua incidenza su assetti da lungo tempo sedimentati, il coinvolgimento di valori costituzionali e diritti fondamentali rendono evidente la necessità di solidi percorsi di condivisione.
* Ministro di Grazia e Giustizia