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Bonafede resta dirigente nazionale M5S anche da ex parlamentare
È la fase due del programma sulla giustizia. Se il primo step è nel “contratto” di governo, il secondo lo compie il ministro Alfonso Bonafede con il doppio passaggio parlamentare di ieri, nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera. Illustra le riforme che «partiranno in autunno». Con eccezioni per quelle «a cui servono ulteriori risorse finanziarie». Tra cui la «prescrizione». Bonafede fa così intendere due cose: che sì, l’idea di sospendere la prescrizione «dopo la sentenza di primo grado» resta in cima ai suoi progetti; ma anche che chiederà margini per assumere giudici e cancellieri, e continuare così, almeno sugli organici, lungo la strada tracciata da Orlando. Già in precedenti occasioni aveva detto che l’intervento sui tempi di estinzione dei reati non avrebbe dovuto allungare i processi, da velocizzare con l’immissione di nuovi magistrati e amministrativi. Ora lo ribadisce e introduce un altro concetto: «L’interruzione dopo il primo grado è il punto di partenza di uno studio che dovrà tenere conto di tutti gli effetti, positivi e negativi, per giungere a un risultato efficace nel rispetto delle contrapposte garanzie». Resta insomma l’obiettivo, controverso, che rischia di travolgere il principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Ma comincia a farsi strada una disponibilità alla dialettica: la “nuova prescrizione” non dovrebbe arrivare a passo di carica.Non è certo l’unico tema tratta ieri. Ma è esemplare, oltre che il più dirompente. Attesta un approccio decisamente più “mediato”, da parte di Bonafede, rispetto agli annunci ultimativi del “contratto”. Un metodo aperto «all’ascolto e al confronto», come lui stesso dice a proposito dell’altro clou di giornata, le intercettazioni. Dialogo, chiarisce il ministro, che partirà «dalle concrete esperienze vissute dalle Procure e dagli avvocati, in modo da giungere alla definizione condivisa» per la nuova riforma degli “ascolti”, «una piattaforma su cui innestare la riscrittura» delle norme. Bonafede promette di sentire avvocati e magistrati, prima di procedere. Nonostante l’eco roboante del passaggio sulle intercettazioni e di altri accenni – primo fra tutti quello alla «legittima difesa» che va depurata «dalle zone d’ombra» – si scorge un atteggiamento complessivo più attento nel campo forse più delicato, per il governo, dopo le questioni economiche. Peserà dunque, nella strategia di Bonafede, il margine per rafforzare gli organici, opzione sollecitata ieri anche dalla vicepresidente del Senato Anna Rossomando. Dopo che Cnf e Ocf l’avevano indicata come prioritaria anche nell’incontro di martedì scorso con i rappresentanti della Lega. Il tema ripropone il confronto tra governo e avvocatura a proposito della giustizia civile. Bonafede declina il punto sotto la specie della «semplificazione», che dovrebbe «asciugare l’attuale rito, senza, stravolgimenti inconsulti, forieri di controverse interpretazioni giurisprudenziali». In particolare evoca la «cancellazione dell’atto di citazione come atto introduttivo», che lascerebbe solo «il modello del ricorso». Vorrebbe dire estendere il rito del lavoro a tutti gli altri settori. Ipotesi che il presidente del Cnf Andrea Mascherin inquadra in «linee di azione necessariamente di massima» tracciate dal guardasigilli. «È da supe- rare l’ansia da riformite,come giustamente sottolinea il ministro», commenta il vertice dell’avvocatura, «l’unica riforma rivoluzionaria è investire negli organici di magistratura e personale amministrativo, in edilizia e strumenti. Ciò renderebbe efficiente ogni tipo di processo senza correre il rischio di intaccare le garanzie procedimentali», osserva Mascherin. L’avvocatura, aggiunge, «potrà dare un importante contributo di conoscenza ed esperienza», senza dimenticare che o si provvede a «importanti investimenti» oppure «si è destinati a cadere nella patologia della riforma fine a se stessa, e so che questa è opinione condivisa dal ministro». Il ventaglio degli interventi ipotizzati ieri da Bonafede è ampio. Sulla corruzione riemerge l’ipotesi del «daspo» , ma anche un dettaglio non esplicitato nel “contratto”: uno specifico aumento dei «massimi e minimi» di pena per una fattispecie già di per sé problematica, «il traffico di influenze». Obiettivo che Bonafede sembra proporre con minore scientificità rispetto alla riscrittura del decreto intercettazioni. Intanto, spiega su quest’ultimo tema, l’entrata in vigore della riforma di Orlando, prevista per fine luglio, sarà «posticipata, con un decreto, all’inizio del prossimo anno». Così da consentire il confronto con toghe e avvocati, appunto. Con diversi punti fermi: «Una corretta distribuzione dei compiti funzionali tra i diversi soggetti coinvolti», cioè tra pm e polizia giudiziaria, distribuzione che il decreto “congelato” attribuisce in modo eccessivo, secondo molti, alla pg; ancora, non sprecare i soldi già impegnati per «sale d’ascolto e archivi riservati» ( comunque ancora non predisposti in tutte le Procure) e «attenzione ai diritti difensivi», come reclamato anche dall’Unione Camere penali. Oltre alla citata legittima difesa c’è un lieve aggiustamento ideologico sul carcere: ribadita anche su questo la «discontinuità» con Orlando, Bonafede annuncia interventi che «devono riuscire a far convivere armoniosamente certezza della pena e finalità rieducativa». Altro piccolissima correzione rispetto ai toni iniziali. Sui magistrati che passano alla politica è giusto che «provveda il Parlamento», dice. Mentre l’agente “provocatore” contro i corrotti trasfigura nell’ «agente sotto copertura», che non sarebbe un istituto muovo. La fase due della giustizia pare un po’ meno sbrigativa del “contratto”.