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Avoler vedere uno spiraglio, dietro le lacrime della cancelliera che dice al ministro «la prego ci aiuti», a voler trovare un sprazzo di luce nel disastro del Tribunale di Bari finito sotto le tende, si può dire che forse da ieri la giustizia smette di essere arma di “vendetta” e diventa un’emergenza umana. Non più il terreno di iperboli giustizialiste ma una questione concreta, fatta di persone in carne ossa e un guardasigilli, Alfonso Bonafede, che ne avrà di cose da raccontare in Consiglio dei ministri, dopo la visita di ieri nel capoluogo pugliese. La situazione che tre giorni fa il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha definito «peggiore delle tendopoli dei terremotati nel mio Friuli», trova senso nelle parole pronunciate ieri dal ministro: «Vicinanza umana, innanzitutto, agli operatori del diritto».
Bonafede cita «giudici, avvocati, cancellieri, cittadini», ma anche «gli imputati che hanno diritto alla difesa costituzionalmente garantita». Parole da avvocato che conosce la Costituzione. Chiama in causa tutti gli eroi civili della giustizia accampata che «in un bagno di sudore fanno comunque funzionare la giustizia». E a loro promette «una soluzione migliore di quella prospettata nei giorni scorsi». Sarebbe la scelta invocata da istituzioni forensi e vertici della magistratura: no allo smembramento degli uffici ospitati fino a due settimane fa nel palazzo di via Nazariantz, dichiarato inagibile, in due immobili diversi, uno in città e l’altro a Modugno; sì a una sede unica all’interno del capoluogo, pur provvisoria. La prima uscita pubblica di Bonafede da guardasigilli sembrerebbe aprire uno spiraglio positivo. Ma l’incognita resta. Il responsabile della Giustizia riconosce sì che gli immobili individuati in via Brigata Regina e nel centro della provincia «non sarebbero soddisfacenti rispetto alle esigenze di giustizia che ci sono anche nell’emergenza». Ma deve fare i conti con l’ansia, alimentata soprattutto dai vertici del ministero, di rimuovere comunque le tende.
Così la giornata si snoda lungo un iter complicato: prima l’incontro a via Nazariantz con il procuratore Giuseppe Volpe, “eremita” nel suo ufficio chiuso al pubblico, e gli avvocati, ai quali il guardasigilli si rivolge durante il sopralluogo nella tendopoli allestita sotto l’edificio. Poi, sempre accompagnato dai vertici della direzione Personale e edilizia del ministero, Bonafede visita l’ex sede distaccata di Modugno insieme con i presidenti dell’Ordine degli avvocati Giovanni Stefanì e della Camera penale Gaetano Sassanelli. Quindi di nuovo nel cuore della città, nel Palazzo di giustizia di piazza de Nicola. Lì il ministro si confronta con gli altri capi degli uffici giudiziari: il presidente della Corte d’appello Franco Cassano, il procuratore generale Annamaria Tosto e il presidente del Tribunale Domenico De Facendis. Alla fine Bonafede fissa tre punti. Primo, «se il ministero trova una mezza soluzione, deve cercare di ambire ad una soluzione migliore». Dunque non ci si arrenderà subito allo smembramento. «Entro lunedì o martedì avremo risposte su altri eventuali immobili. Se arriverà l’offerta, il ministero metterà tutte le risorse necessarie per effettuare il trasloco in tempi brevissimi. E quando dico tutte le risorse, intendo dire che il governo assume Bari come priorità da affrontare». C’è però una seconda variabile: «Nelle prossime ore valuterò se intervenire con un decreto per sospendere i termini processuali e smantellare le tende». Ma visto che non sarebbe possibile una sospensione a tempo indeterminato, c’è il rischio che il decreto sancisca intanto il trasloco d’urgenza dal palazzo inagibile di via Nazariantz a Modugno e in via Brigata Regina.
Terza questione: per Bonafede «non si deve nominare un commissario: lo si fa quando c’è inerzia da parte del ministro. E io non sono inerte: ci metto la faccia, anche con la normativa d’urgenza se necessario». E qui il 42enne responsabile di una delle più importanti amministrazioni dello Stato dovrà mettere alla prova la sua stessa voglia di cambiamento: saprà scommettere su una soluzione più adeguata ma non ancora sotto mano o prevarrà la prudenza dei dirigenti di via Arenula, che preferirebbero sdoppiare intanto gli uffici e poi cercare con calma un’altra sede in città? «Siamo preoccupati», spiega il presidente dei penalisti baresi Sassanelli, «una volta smontate le tende c’è il rischio di vederci assegnata subito la sede di Modugno. A quel punto, senza il pugno nell’occhio della giustizia accampata, la spinta a trovare un immobile davvero adeguato, innanzitutto come metratura, si affievolirebbe». E l’esercizio della professione resterebbe, per gli avvocati, impossibile.
Da avvocato quale lui stesso è, d’alta parte, Bonafede ringrazia innanzitutto i colleghi: «Devo dire che la situazione è veramente impossibile, il mondo della giustizia vi è grato per quello che state facendo, per la dedizione che state dimostrando», scandisce il ministro nell’incontro alla tendopoli. «Vi ringrazio di continuare a lavorare nonostante la situazione, a nome della Repubblica italiana», dice sempre agli avvocati baresi. Poco dopo aggiunge: «Non è concepibile in uno Stato di diritto che un ministro entri in una tenda dove giudici e avvocati, in un bagno di sudore, portano avanti le sorti della giustizia». Fino a quella frase: «Bari è la mia priorità», a cui avvocati e magistrati non possono far altro che affidarsi.