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La procura di Bologna chiede l’archiviazione di una serie di denunce che la Corte d’assise di Bologna ha avanzato nella sentenza Cavallini. Tra loro l’ex Nar Valerio Fioravanti per falsa testimonianza e calunnia, il generale Mario Mori per falsa testimonianza e reticenza. Ma anche Elena Venditti, Giovanna Cogolli , Roberto Romano, Pierluigi Scarano, Fabrizio Zani. La corte di Assise di Bologna, dopo aver esaminato la testimonianza resa dall'ex generale Mario Mori nel corso dell'udienza del 3 ottobre 2018, lo ha denunciato per "falsa testimonianza e reticenza" per aver affermato "di non essersi mai occupato della destra eversiva in quanto lui è sempre stato occupato in "altro", in aperto contrasto "con una nutritissima serie di evidenze processuali e investigative di segno contrario, provenienti anche da dichiarazioni da lui stesso rilasciate", arrivando secondo la Corte, perfino, a bluffare "invitando i presenti ad andare a leggersi le sentenze-ordinanze del G.I. di Milano dott. Salvini del 1995 e del 1998, che dicono cose ben diverse da quanto da lui sostenuto". Ebbene, i pm hanno sottolineato che il fatto non sussiste. Perché? Non c’è stata nessuna falsità o reticenza. “Lo stesso Presidente della Corte – si osserva nella richiesta di archiviazione -, non solo durante tutta la deposizione non ha fatto alcun richiamo al teste su eventuali falsità o reticenze riscontrate, ma si è limitato a fare al teste, all'esito dell'esame, soltanto due semplici domande”. Il generale Mori ha risposto, infatti, a quelle domande. Ebbene, i Pm le hanno vagliate e hanno trovato un ampio riscontro negli accertamenti esperiti dal Ros di Bologna nei rapporti 14 e 22 giugno 2021, che, all'esito di attente indagini, dopo aver ricostruito la carriera e gli incarichi del prefetto Mori all'interno dell'Arma dei carabinieri e nei Servizi di sicurezza, e le attività di polizia giudiziaria svolte da lui personalmente o quale comandante di reparto e fatte oggetto delle domande rivoltegli durante l'esame dibattimentale o delle critiche mossegli dalla Corte di Assise nel par. 36.3 della sentenza n. 1 del 2020, non ha riscontrato falsità o reticenze in quanto affermato dal Mori. Non solo. I pm bacchettano il presidente della Corte. “Si deve, però – scrivono i sostituti procuratori - , porre in evidenza il mancato rispetto di una delle regole sul giusto processo da parte della Corte di Assise, che ha basato il suo assunto non sul verbale delle spontanee dichiarazioni rese dal gen. Mori nel processo davanti al Tribunale di Palermo nel quale era imputato, che, in violazione dell'art. 238 c.p.p., non ha neppure acquisito così da non sottoporlo "ad autonoma valutazione critica, secondo la regola generale di cui all'art. 192, co. 1, c.p.p." (come richiesto da Cass. sez. I, 16 maggio 2019, n. 41405), pur essendo imprescindibile per valutare complessivamente la veridicità e la portata effettiva delle dichiarazioni rese da Mori in quella sede in rapporto alla accusa mossa a Bologna nei confronti del Cavallini per la strage del 2 agosto 1980”. E cosa ha fatto invece la Corte? “Molto più riduttivamente – scrivono i pm - , invece, nel valutare la testimonianza resa dal prefetto Mori a Bologna, ha richiamato solo i frammenti di brani di quelle spontanee dichiarazioni da lui rese a Palermo ed estrapolati dal Tribunale di Palermo per essere riportati nella sentenza 20 aprile 2018, che, come si è detto, non essendo ancora definitiva, poteva e può tuttora essere utilizzata "solo come prova dei fatti documentali da essa rappresentati”.