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Nel carcere La Dozza di Bologna apre un reparto di articolazione psichiatrica, ma mancano le figure sanitarie e gli agenti penitenziari rischiano di trovarsi da soli a gestire situazioni critiche senza averne la competenza. A lanciare l’allarme è il sindacato di polizia penitenziaria Sinappe per voce della dottoressa Anna La Marca. «Non abbiamo competenza sanitaria – scrive La Marca rivolgendosi alla direzione del carcere bolognese - per cui è a dir poco inaccettabile che l’azione gestionale ed organizzativa nonché gli interventi sanitari possano essere delegati al personale dell’area sicurezza». Osserva che «sarebbe stato opportuno, quindi, che fossero state date delle linee guida alla Polizia Penitenziaria ivi operante, fornite soprattutto con la costante presenza di professionisti competenti nella cura di soggetti così fragili e probleatici». Il disagio degli agenti alla Dozza di Bologna La sindacalista del Sinappe, ricorda che il servizio psichiatrico in carcere non rappresenta un’area a sé stante, ma s’inscrive nella complessità dell’intervento sanitario intracarcerario. «La tutela della salute della persona reclusa assume – sottolinea La Marca -, inoltre, una valenza positiva in relazione all’art.27 della Costituzione, terzo comma. Tale articolo, infatti, secondo il principio dell’umanizzazione e della funzione rieducativa della sanzione penale, impone una concezione della pena non meramente retributiva e preventiva, ma attenta ai bisogni umani del condannato in vista del suo possibile reinserimento sociale». La mancanza del personale dell’Area Sanitaria è vissuta con forte disagio dalla popolazione detenuta e, contestualmente, per logica consequenzialità, diventa fattore di rischio per l’incolumità del personale di Polizia Penitenziaria operante presso quelle sezioni detentive con il verificarsi di aggressioni da parte dei detenuti che vedono nel poliziotto penitenziario l’unica figura sempre presente su cui scaricare la propria rabbia e la propria tensione. «L’assenza – denuncia sempre La Marca -, voluta, casuale o temporanea (non è dato saperlo e sul punto si chiedono chiarimenti e delucidazioni) di un presidio psichiatrico h 24 nel reparto Girasole, riporta, a giudizio di chi scrive, ad un parallelismo infelice, vissuto non moltissimi anni fa in cui la malattia mentale veniva trattata in modo grossolana e brutale se non addirittura negata». Con l’assenza delle figure sanitarie specializzate nella cura e assistenza delle persone affette da patologie psichiatriche, c’è il rischio che si ritorni a quella arcaica logica manicomiale dove la gestione è puramente contenitiva. Le difficoltà di affrontare la malattia psichiatrica Come ben spiega la dottoressa La Marca, oggigiorno il concetto di malattia mentale è molto più articolato per cui recludere delle persone con un disagio psichico, senza una progettualità, senza impegnare la loro mente, senza canalizzare la loro emotività con l’aiuto costante di addetti del settore non fa che riportarci a quel periodo. La malattia psichica è fonte di sofferenze non meno della malattia fisica ed è appena il caso di ricordare che il diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost., di cui ogni persona è titolare, deve intendersi come comprensivo non solo della salute fisica, ma anche della salute psichica alla quale l’ordinamento è tenuto ad apprestare un identico grado di tutela. «Le patologie psichiche possono aggravarsi ed acutizzarsi proprio per la reclusione: la sofferenza che la condizione carceraria inevitabilmente impone di per sé a tutti i detenuti si acuisce e si amplifica nei confronti delle persone malate, sì da determinare, nei casi estremi, una vera e propria incompatibilità tra carcere e disturbo mentale che non può assolutamente interrompersi nel weekend quando, parrebbe, che nessuna figura psichiatrica sia presente e a disposizione delle detenute del reparto Girasole», conclude la sindacalista del Sinappe.