«È arrivato il momento di dedicare priorità e tempo alle esigenze familiari», così, in una nota, il magistrato trapanese Bernardo Petralia ha annunciato di
lasciare l'incarico di capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, chiedendo, nel contempo, al Csm il pensionamento anticipato.
Subentrato al posto di Francesco Basentini, dimessosi dopo le polemiche artefatte sulla cosiddetta “scarcerazione”, invece di dimettersi per i 13 detenuti morti durante e dopo le rivolte carcerarie (oppure per aver affermato che il sovraffollamento era “virtuale”), Bernardo Petralia ha fin da subito dimostrato di essere all’altezza del suo compito, soprattutto incentrando nel
dialogo, compreso con l’associazione Antigone e, non per ultimo, con Nessuno Tocchi Caino. Dialogo che il capo del Dap precedente aveva, di fatto, reciso.
Petralia a Repubblica: nelle rivolte del 2020 non c'era un coordinamento delle mafie
Molto significativa l’ultima intervista rilasciata a
Repubblica, dove Petralia ha sottolineato due aspetti degni nota. La prima è che, in maniera “sciasciana”, ha affermato di aver finalmente compreso le parole che gli disse suo suocero penalista, ovvero che per
ogni toga sarebbe utile vivere per qualche settimana la vita del carcere. La seconda, a differenza delle dietrologie utili a seppellire le criticità del sistema penitenziario, ha affermato che,
come Dap, non hanno avuto nessun segnale di un coordinamento unico delle mafie in merito alle rivolte carcerarie del 2020.
La lunga carriera antimafia di Bernardo Petralia
Bernardo Petralia, da non confondersi con il suo omonimo Carmelo Petralia, è stato un magistrato antimafia di lungo corso. A differenza di taluni togati che vengono continuamente celebrati sugli altari dei media e che hanno velatamente sollevato qualche disappunto sul suo insediamento,
è stato tra i primi magistrati nel rendersi conto della possibile non veridicità delle dichiarazioni dell’ex pentito Vincenzo Calcara. Nei primi anni ottanta, da giovanissimo Sostituto, a Trapani, terra di mafia potente e radicata, ha lavorato a fianco di Ciaccio Montalto, poi ucciso dalla mafia, condividendo con lui le prime indagini contro Cosa nostra, allora coinvolta in una sanguinosa guerra intestina per la conquista, da parte dei corleonesi di Totò Riina, della leadership, e contribuendo alla scoperta, nella zona di Alcamo, della più grande ed efficiente raffineria di droga di cui le famiglie mafiose all’epoca disponevano. L’impegno nelle indagini antimafia è proseguito al Tribunale di Sciacca, trasferitosi nell’anno 1985 da giudice istruttore, dove ha condotto a termine, tra l’altro, il primo procedimento contro le cosche di Cosa nostra della parte occidentale della provincia agrigentina, fruendo anche delle prime, storiche c
ollaborazioni con la giustizia di Contorno, Buscetta e Calderone.Trasferitosi al Tribunale di Marsala nel 1990, da giudice ha presieduto il collegio dei primi processi di mafia celebrati nel Paese con il nuovo rito, affrontando problematiche inedite, sostanziali e processuali, risolte con ordinanze pubblicate nelle più accreditate riviste giuridiche. Nel 1996, ad appena 43 anni, da più giovane dirigente d’Italia, è stato nominato a capo della Procura di Sciacca, dove è rimasto per un decennio fino alla sua elezione al Csm. Bernardo Petralia si è differenziato curando l’approfondimento scientifico, partecipando quale relatore a numerosi incontri di studio e seminari organizzati dal Csm e pubblicando pregevoli scritti in riviste giuridiche. Uno che il magistrato l’ha fatto, senza bisogno di rincorrere teoremi fantapolitici. Eclettica preparazione, elegante nei modi e dialogante. Il rischio che al posto di Basentini subentrasse un magistrato antimafia che pensava il carcere come strumento per indagini personali, era molto concreto.
Il sistema penitenziario è complesso, non si riduce al 41 bis, e per dirigere l’amministrazione penitenziaria ci vuole competenza e soprattutto “metodo scientifico” nell’approccio. Bernardo Petralia, come l’allora capo del Dap Santi Cosolo, rappresenta l’eccezione.
Al posto di Petralia ci vorrebbe un esperto del sistema penitenziario
Forse, con l’attuale ministra della Giustizia Marta Cartabia è arrivato il momento giusto per cambiare la tradizione che vuole necessariamente un magistrato al vertice dell’amministrazione penitenziaria. E se davvero arrivasse Brubaker a capo del Dap, come a suo tempo si era augurato Patrizio Gonnella di Antigone?
Ci vorrebbe un vero esperto, con esperienza e che conosca il sistema penitenziario in profondità. Nel 2018, perfino il Sappe era concorde nell’avere una persona illuminata. Nonostante le diverse vedute, era entrato in sintonia con Antigone, proponendo Mauro Palma, l’attuale garante nazionale delle persone private della libertà che ha anche dimostrato di farsi carico delle criticità che vivono gli agenti penitenziari. Questa sarebbe la vera svolta, un forte segnale di cambiamento che fino ad oggi ancora tarda ad arrivare.