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È battaglia legale sul cellulare di Cecilia Marogna, la manager cagliaritana divenuta nota alle cronache come "dama del cardinale" per il rapporto che la lega all’ex sostituto della segreteria di Stato vaticana Angelo Becciu e con lui finita indagata Oltretevere. Alla Marogna l’Ufficio del promotore di giustizia contesta l’appropriazione indebita di 575mila euro affidati dalla Segreteria di Stato alla Logsic - società con sede a Lubiana da lei controllata -, che la manager avrebbe speso in beni di lusso che nulla avrebbero avuto a che fare con il suo incarico. Per questo la "dama del cardinale" era stata arrestata dalla Gdf a Milano il 13 ottobre scorso su mandato di cattura dell’autorità giudiziaria della Santa Sede, con tanto di sequestro di cellulare. La manager venne rilasciata dopo 20 giorni di carcere ma il colpo di scena è arrivato il 18 gennaio scorso, quando il Vaticano ha chiesto «il non luogo a provvedere» sulla richiesta di estradizione per consentirle di partecipare libera al processo «di imminente celebrazione». La Corte di Appello di Milano, nell’emettere sentenza in tal senso, ha ordinato la restituzione di quanto sequestratole ai fini estradizionali, compreso il cellulare. Nel frattempo, tuttavia, il pm meneghino Gaetano Ruta aveva disposto un nuovo sequestro sul cellulare in esecuzione di una «richiesta di assistenza giudiziaria» del Vaticano, tanto che il telefono è già da tempo nelle mani degli inquirenti vaticani. Contro questo nuovo sequestro gli avvocati della manager avevano proposto ricorso al Riesame, ricorso rigettato pochi giorni fa «per inoppugnabilità del provvedimento»: secondo il Tribunale infatti «l’eventuale illegittimità del sequestro disposto in sede di rogatoria internazionale non è deducibile con la richiesta di riesame», poiché la Giurisprudenza evidenzia «che le impugnazioni avverso i sequestri eseguiti in forza di rogatorie passive sono qualificabili come incidente di esecuzione». Ora l’attuale collegio difensivo della Marogna, composto dagli avvocati Fiorino Ruggio e Giuseppe Di Sera e dal consulente in diritto internazionale e criminologo Riccardo Sindoca, che aveva suffragata l’impugnazione, ricorre in Cassazione per violazione di legge. In particolare, sostengono i legali, tra Vaticano e Repubblica Italiana non vigono convenzioni circa l’estradizione e le rogatorie e lo stesso ministro della Giustizia, nel comunicare alla Procura di Milano la «richiesta di assistenza giudiziaria» dei magistrati vaticani circa il sequestro del telefono specificava che «la richiesta potrà essere esaminata solo in base alle disposizioni del diritto nazionale». Cioè che si sarebbe potuto dare seguito alla esecuzione se il Codice di Rito italiano l’avesse consentito. Cosa che non corrisponde a verità secondo il collegio difensivo della Marogna, visto che, sottolineano gli avvocati, dalla nota verbale della Nunziatura con la richiesta di assistenza fatta pervenire al Guardasigilli, «nulla emergeva circa le norme procedurali/processuali a garanzia del cittadino straniero nei confronti del quale veniva richiesto il sequestro a fini probatori del telefono». Tuttavia, «avendo la Corte d’Appello, a suo tempo, disposto il dissequestro e la restituzione» del telefono, e «avendo il pm agito sequestrando ai sensi dell’art. 253 Cpp, provvedimento in merito al quale l’ordinamento processuale italiano prevede solo il vaglio del Tribunale del Riesame, senza eccezione alcuna», a parere della difesa della Marogna, il Tribunale del Riesame «ha errato» nel ritenere che il decreto di sequestro fosse impugnabile con incidente di esecuzione, «atteso che, quanto al caso di specie, non vi è alcun giudice che abbia deliberato l’esecuzione del provvedimento di sequestro, provvedimento cui il pm ha dato deliberazione ed esecuzione direttamente, ai sensi della normativa rogatoriale». Peraltro, sottolineano i difensori della manager, «con l’impugnata pronuncia il Tribunale del Riesame ha omesso di entrare nel merito della richiesta di riesame, presentata dai primi difensori della Marogna, e dei motivi a suffragio depositati dagli odierni estensori, così violando la legge, a ragione della errata interpretazione delle norme di rito, nel ritenere che il sequestro probatorio in sede di rogatoria passiva sottostia all’istituto dell’incidente di esecuzione».