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Nella riforma del processo non dovrebbero esserci cenni di depenalizzazione. È una materia rimasta vergine, anche nel corso dell’intenso confronto svolto, con il guardasigilli Alfonso Bonafede, da avvocati e magistrati. Eppure l’ordine giudiziario, nel terreno di frontiera che è l’amministrazione quotidiana della macchina processuale, opta ormai da tempo per una depenalizzazione di fatto, preferita all’ipocrita megalomania della giustizia onnivora. L’ultimo esempio viene dal distretto di Brescia, dove i vertici degli uffici hanno convenuto di dare assoluta priorità ad alcuni procedimenti. Innanzitutto a quelli per i quali la legge già prevede meccanismi accelerativi e, immediatamente dopo, ai giudizi penali relativi a illeciti di forte impatto per lo specifico contesto lombardo, legati dunque all’economia. Si è deciso, perciò, di considerare come “perdita inevitabile” la mancata definizione di altri procedimenti, destinati a finire prescritti nei successivi 24 mesi.
A darne notizia è stato il Corriere della Sera dieci giorni fa. E la notizia è di quelle destinate a far scalpore. Perché il contenuto implicito di simili linee guida è evidente: addio all’ipocrisia dell’azione penale obbligatoria. Addio al miraggio efficientista dei fascicoli messi tutti — fino a quello più bagatellare — sull’illusorio binario della definizione. Accettazione serena, e condivisa da pm e giudici, di una prescrizione che estingue una parte non piccola di procedimenti: circa 2.000 su 6.500 istruiti dai pm, nel caso specifico.
Ci sono due piani di lettura. Primo: la scelta compiuta negli uffici giudiziari della Corte d’appello di Brescia ( di cui fanno parte anche i Tribunali di Bergamo, Cremona e Mantova) è solo la versione codificata di una prassi diffusissima. Nella gran parte dei grandi distretti già si assiste a una “selezione naturale indotta”, per così dire: vengono lasciati sul binario morto della prescrizione tutti quei fascicoli che non sarebbe possibile trattare fruttuosamente. Inutile pretendere che la giustizia sia una catena di montaggio all’americana.
«La giurisdizione deve assicurare qualità, non un vuoto produttivismo», nella visione di Claudio Castelli, presidente della Corte d’appello di Brescia e tra i principali fautori delle linee guida insieme con Vittorio Masia, che presiede il Tribunale del capoluogo. Prima ancora che arrivi la riforma, è già arrivata la giurisdizione in carne e ossa. Superare l’ipocrisia dell’azione penale obbligatoria è oltretutto uno degli obiettivi dell’Unione Camere penali, che nel ddl costituzionale per il quale ha raccolto 72mila firme, e che ora è all’esame di Montecitorio, aveva previsto un’indicazione per via legislativa, cioè parlamentare, delle priorità nell’azione penale.
Il tema ha finito per essere il punto di caduta di molti dibattiti organizzati nel corso di questa settimana dalle Camere penali territoriali, in coincidenza con i cinque giorni di astensione dalle udienze proclamati dall’Ucpi. Incontri che hanno di nuovo visto avvocati e magistrati condividere le stesse analisi, innanzitutto sul rischio che lo stop alla prescrizione tenda ad aggravare quel sovraccarico a cui opzioni drastiche come quella adottata a Brescia tenderebbero a rispondere.
Manifestazioni si sino tenute per tutta la settimana a Torino come a Benevento, a Bari, come a Frosinone e a Milano e ancora se ne terranno oggi. Come a Bologna, dalla cui Camera penale arriva una testimonianza di particolare significato: l’adesione di realtà associative dell’avvocatura anche esterne al campo dei penalisti, dalla Camera civile alle sezioni locali di amministrativisti e tributaristi, fino all’Aiga e con la piena condivsione, sul piano locale come su quello nazionale, dell’Ocf. «È segno», nota il presidente della Camera penale bolognese Ettore Grenci, «che fa comprendere come sulla riforma della prescrizione vi sia una diffusa preoccupazione che ha toccato la sensibilità non solo deipenalisti, ma di tutto il mondo forense».
Alle 10 di stamattina tutta l’avvocatura del capoluogo emilano si ritroverà per un sit in davanti al Tribunale «con la toga addosso». Un «fatto storico» per Grenci. E la riprova che l’efficienza della giustizia penale sta a cuore non solo a chi, con i paradossi dell’obbligatorietà e della prescrizione, fa i conti ogni giorno.