Durante la recente conferenza stampa di inizio anno, la presidente Giorgia Meloni lo ha ribadito: «Nessuna misura deflattiva, ma edilizia penitenziaria per risolvere il sovraffollamento». Quindi, nulla di nuovo, ma la solita vecchia ricetta fallimentare. Come sappiamo, recentemente è stato nominato Marco Doglio come nuovo commissario straordinario, con il compito di risolvere il problema entro fine 2025. Anche qui, un precedente: l’esperienza dell’Ufficio del Commissario straordinario avviata nel 2013 si chiuse con un misero bilancio e strascichi giudiziari.

Nel frattempo, però, sono stati fatti pochi passi in avanti. La costruzione di nuove carceri e la riconversione di ex caserme, idea spesso riproposta, non risultano più fattibili dallo stesso Ministero. Come evidenziato dal ventesimo rapporto di Antigone e dalla Relazione del Ministero della Giustizia 2023, emerge che «a causa di problematiche nella pianificazione e progettazione, l’unico intervento attuato riguarda la caserma Barbetti». Le ex caserme si riducono quindi a una sola, quella di Grosseto. Eppure, anche il progetto di un nuovo carcere in questa città è in discussione dagli anni Novanta. Lo scenario appare complesso, considerata l’estensione dell’area (circa 154.000 mq) e la presenza di numerosi edifici.

PROMESSE IMPOSSIBILI

Per quanto riguarda la costruzione di nuove carceri, la stessa relazione gela gli entusiasmi. Unica eccezione è il riferimento al «nuovo istituto di Pordenone in località San Vito al Tagliamento», che viene però collocato «in un orizzonte temporale più ampio (che si ritiene poter circoscrivere nell’ambito di un quinquennio)».

Di questo progetto si parla già dagli anni Novanta, con gare d’appalto finite davanti al Tar e assegnazioni dei lavori poi revocate. Un’operazione che forse, prima o poi, andrà in porto, ma che certo non ha nulla a che fare con la risposta all’emergenza sovraffollamento. Rimane quindi la realizzazione dei nuovi padiglioni, che secondo il governo è la soluzione al problema. Sempre Antigone rivela però il bluff.

Nella relazione del ministero, si spiega che «sono in corso di completamento le attività di collaudo tecnico-amministrativo, a cura del competente Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del nuovo padiglione da 92 posti destinato al regime 41-bis presso la Casa circondariale di Cagliari e del padiglione da 200 posti della Casa di reclusione di Sulmona». Ma anche su questi due interventi, il recente rapporto di Antigone ritiene utile sapere qualcosa in più.

A Cagliari, la nuova Casa Circondariale di Uta, inaugurata nel 2014, includeva fin dall’origine un padiglione dedicato al regime del 41-bis. Tuttavia, questo non era stato completato a causa del fallimento dell’impresa costruttrice. Non si tratta, dunque, di realizzare un nuovo padiglione, ma di portare a termine una struttura i cui lavori, come si evince dalla Relazione dell’Ufficio Tecnico per l’Edilizia Penitenziaria e Residenziale del 2008, avrebbero dovuto concludersi nel 2009.

Quanto a Sulmona, nella Relazione sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria per l’anno 2015 si legge che «rispetto ai nuovi padiglioni la cui realizzazione era stata prevista dal Piano Carceri, il Commissario Straordinario del Governo per le Infrastrutture Carcerarie ha avviato le procedure per la costruzione di due nuovi padiglioni da 400 posti presso gli istituti penitenziari di Milano Opera e Roma Rebibbia, oltre a undici padiglioni da 200 posti ciascuno destinati agli istituti di Vicenza, Bologna, Ferrara, Parma, Sulmona, Lecce, Taranto, Trani, Caltagirone, Siracusa e Trapani, per un totale complessivo di 3.000 posti detentivi».

PERCHÉ AUMENTARE LA CAPIENZA NON È UNA VERA SOLUZIONE

Molti padiglioni, come quelli di Parma e Trani, sono stati inaugurati tra le forti resistenze della polizia penitenziaria, che denunciava la mancanza di personale adeguato per garantirne la gestione. Dalla Relazione del 2023 si apprende, inoltre, che «entro il 2025 dovrebbero essere ultimati il nuovo padiglione da 200 posti dell’istituto di Bologna», anch’esso inserito nel Piano Ionta fin dal 2009, e che il padiglione di Ferrara è stato persino inserito nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con il decreto-legge n. 59 del 2021.

La Relazione prosegue elencando una serie di nuovi padiglioni da realizzare, per lo più legati al PNRR. Ma basterebbe riflettere su ciò che è avvenuto in passato, per rendersi conto dei tempi lunghissimi e delle difficoltà già riscontrate nella realizzazione di nuove infrastrutture. Tempi e complessità che, nei decenni necessari per completare le opere, fanno sì che queste vengano ripetutamente presentate come l’imminente soluzione alla più recente emergenza del momento.

Il nuovo commissario straordinario non potrà fare miracoli. E se anche dovesse realizzare qualche padiglione, la logica più spesso evocata dagli organismi internazionali come il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane o degradanti è semplicemente questa: se in un contenitore mettiamo in una unità di tempo più “cose” di quelle che nella stessa unità di tempo togliamo, il contenitore prima o poi si riempirà. Se è più grande, ci metterà più tempo a riempirsi, ma se il carcere dovesse rispettare la logica del nostro esempio, il sovraffollamento sarebbe comunque inevitabile.

CHE FARE, DUNQUE?

I soldi per l’edilizia carceraria servono eccome. Ma per rendere vivibile l’esistente. Basterebbe leggere il report di fine anno di Antigone.

Le carceri risultano sempre più fatiscenti e intrappolate nel passato. Più di un terzo degli istituti visitati, precisamente il 35,6%, è stato costruito prima del 1950, e di questi, il 23% risale addirittura a prima del 1900. Un’eredità architettonica che spesso non riesce a soddisfare le esigenze moderne. In alcune di queste strutture, il disagio è tangibile. Nel 10,3% delle carceri non tutte le celle sono dotate di riscaldamento, lasciando i detenuti esposti al freddo nei mesi invernali. Ancora più critica è la situazione dell’approvvigionamento idrico: nel 48,3% degli istituti non è garantita acqua calda in ogni momento dell’anno, una mancanza che incide profondamente sulla dignità e sulle condizioni igienico-sanitarie. Nel 55,2% delle carceri visitate, le celle non dispongono di docce, costringendo i detenuti a utilizzare strutture comuni che spesso sono insufficienti per la popolazione carceraria. Infine, nel 25,3% degli istituti mancano del tutto spazi adeguati per le attività lavorative, privando i detenuti di opportunità di reinserimento e formazione. Questi dati dipingono un quadro allarmante, sottolineando l’urgenza di interventi strutturali. Ma che siano accompagnate da leggi che puntano alla decarcerazione, visto il sovraffollamento giunto al 133%. Eppure le proposte in campo ci sono. Dalla proposta di Roberto Giachetti di Italia Viva sulla liberazione speciale anticipata, fino all’amnistia e indulto, proposte che sono state rinnovate durante il recente convegno svolto presso la Camera dei deputati e promosso dall’onorevole Alessia Ambrosi di Fratelli d’Italia.