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Rems
“Carcerazione illegale ma consentita”. Potremmo usare questa paradossale espressione per raccontare la storia di O.D.B., ventiduenne di origini marocchine, detenuto da più di due mesi nel carcere di Pavia, nonostante l’assoluzione per «vizio totale di mente» e l’assegnazione ad una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). La permanenza in carcere si è protratta per mancanza di posti nelle Rems italiane, dove vengono ospitati gli autori di reati affetti da disturbi psichiatrici e socialmente pericolosi. Pochi giorni fa, però, la svolta. Il Tribunale di sorveglianza di Brescia con un’ordinanza del 9 agosto (presidente Gustavo Nanni, estensore Rossella Gangi) ha posto fine alla situazione di irregolarità venutasi a creare. L’appello dell’avvocata Federica Liparoti del Foro di Milano, che difende il cittadino marocchino, è stato accolto ed è stata disposta l’applicazione della libertà vigilata per due anni da eseguire in una comunità terapeutica a partire da lunedì prossimo. Il giovane nordafricano era finito in carcere per una tentata rapina, «un fatto di reato», come rilevano i giudici di sorveglianza di Brescia, «non particolarmente allarmante, se si considera la natura e l’entità della violenza adoperata per impossessarsi della cosa altrui (uno strattonamento), così come il passato di devianza del soggetto non appare di spiccata spregiudicatezza o solidità delinquenziale». Particolarmente significativo un passaggio dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, secondo il quale «come ribadito dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, la misura di sicurezza del ricovero in Rems, deve essere interpretata e applicata in ossequio ai principi di proporzionalità e residualità». Pertanto, la presenza nella Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza «deve essere interpretata e applicata in ossequio ai principi di proporzionalità e residualità», atteggiandosi «a extrema ratio, conservando i caratteri della eccezionalità e transitorietà». Inoltre, la durata biennale della libertà vigilata è stata considerata proporzionata «alla complessità del quadro psicopatologico della persona», fatto salvo il principio in base al quale «la pericolosità sociale del soggetto può essere nuovamente valutata dal giudice in ogni tempo, senza dover attendere il decorso del tempo minimo stabilito per ciascuna misura». La vicenda di O.D.B. è una sufficiente compensazione rispetto ai casi dei detenuti ancora in carcere, ma che dovrebbero invece essere collocati nelle Rems. Il nostro giornale, con i continui approfondimenti di Damiano Aliprandi, ne ha più volte parlato, lanciando altresì l’allarme sul numero limitato dei posti delle Rems, sulle liste d’attesa che si creano e sulle conseguenze clamorose come quella del marocchino in carcere a Pavia. Nel suo atto di appello l’avvocata Federica Liparoti ha lamentato la mancata indicazione dei criteri in base ai quali il giudice dovrebbe valutare la pericolosità sociale dell’imputato. «In realtà – dice al Dubbio – questa valutazione non è stata fatta. Il Tribunale di Brescia si è limitato a prendere per buona la valutazione criminologica dello psichiatra, senza entrare nel merito della scelta della misura. L’ordinanza del Tribunale di sorveglianza evidenzia una cosa molto interessante: si afferma con chiarezza che il ricovero presso una Rems deve essere considerato come extrema ratio con caratteri di eccezionalità e transitorietà. Viene affermato un principio di diritto importante, che non ha tanti precedenti in Italia». Fra qualche giorno si aprirà una nuova fase della vita di O.D.B. «La notizia da poco ricevuta – prosegue Liparoti – mi rallegra, dato che riguarda l’individuazione di un posto in una comunità terapeutica, in Lombardia, dove già da lunedì prossimo il mio assistito potrà essere trasferito per l’esecuzione della misura di sicurezza. Per due anni il cittadino marocchino sarà sottoposto a libertà vigilata e finalmente potrà lasciare il carcere di Pavia». Ma la battaglia giudiziaria dell’avvocata Liparoti non finisce qui. «Ci rivolgeremo – spiega - alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Presenteremo istanza, affinché si tenga conto dei giorni trascorsi in carcere, senza un titolo detentivo, e si riconosca un risarcimento. È importante ricordare che la Cedu ha già condannato l’Italia il 24 gennaio scorso perché un paziente psichiatrico era stato detenuto a Rebibbia, nonostante il magistrato di sorveglianza avesse applicato la misura del ricovero presso una Rems. La gravissima violazione dei diritti individuali deve farci riflettere. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha indicato un percorso molto chiaro con l’indicazione della violazione dell’articolo 3 della Cedu sui trattamenti inumani e degradanti, e dell’articolo 5 sulla libertà e sicurezza personale. Finalmente, nel nostro caso, il Tribunale di sorveglianza di Brescia, in funzione di giudice d’appello, ha ristabilito una situazione di legalità. Nessuno, comunque, potrà risarcire il mio assistito per gli oltre due mesi di carcere trascorsi da innocente in assenza di una misura cautelare».