Da una settimana, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) è
senza capo in un momento difficile per le carceri italiane. C’è la nuova variante del Covid che, come conseguenza, in alcuni istituti penitenziari sono nuovamente sospese le attività trattamentali.
La tensione cresce e il sovraffollamento rimane tuttora un cancro. Il Dap ha dunque un ruolo strategico, tanto più in una fase critica come quella attuale. Deve avere un progetto, una mission chiara.
Pochi tra coloro che sono stati al vertice del Dap sono stati scelti per le loro competenze specifiche in ambito penitenziario. Abbiamo pochissimi esempi di persone che hanno avuto idee chiare, ben prima di occupare il posto da capo. Un esempio su tutti è l’allora magistrato di sorveglianza Sandro Margara, il quale aveva idee chiare, nel senso dì proporsi quale garante di una pena rispettosa dei vincoli e delle finalità costituzionali. Margara, però, al vertice del Dap c'è stato poco meno di due anni. Fu mandato via dall'allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che lo definì troppo poco incline alla sicurezza e troppo incline al trattamento.
La scelta migliore sarebbe quella del Garante nazionale dei detenuti
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Il Dubbio si è scritto che, con la sensibilità dell’attuale ministra della Giustizia, forse è arrivato il momento giusto per cambiare la tradizione che vuole necessariamente un magistrato al vertice dell’amministrazione penitenziaria. Per questo, la nomina di Mauro Palma, attuale garante nazionale delle persone private della libertà, sarebbe la scelta migliore. Quella che rappresenta il vero cambiamento. A pensare che, data la sua età, per la Legge Madia potrebbe svolgere tale funzione senza percepire emolumenti.
La gestione di tipo trattamentale dovrebbe prevalere
Ma se la scelta rimane orientata come da tradizione, ci si augura che non debba per forza ricadere a uno che abbia una visione limitata con la sola esperienza antimafia. I detenuti sottoposti al regime del 41 bis e quelli ristretti in sezioni di alta sicurezza sono una percentuale da prefisso telefonico rispetto a tutti gli altri detenuti comuni molti dei quali privi di una particolare statura criminale. Nei confronti di tutti i detenuti deve comunque prevalere una gestione di tipo trattamentale, come vuole la legge.
Per questo sarebbe più che giusto collocare al vertice del Dap chi crede fermamente al trattamento e a una gestione umano-centrica. D’altronde, è proprio per colpa di chi ha una visione fortemente punitivista che le carceri risultano strapiene e prive di umanità, quest’ultima componente fondamentale per il recupero di chi ha sbagliato.
Si potrebbe scegliere tra i magistrati di sorveglianza
In campo non mancano personalità che possono ricoprire tale ruolo. Si pensi a Marcello Bortolato, magistrato dal 1990, e che dal 2017 presiede il Tribunale di sorveglianza di Firenze. È stato componente nel 2013 e nel 2017 di due commissioni di riforma dell'ordinamento penitenziario istituite presso il ministero della Giustizia. È autore di numerose pubblicazioni in materia penitenziaria. La sua visione principe è che il sistema penitenziario debba incarnare l’articolo 27 della nostra costituzione, mentre nei fatti si è trasformato in una vendetta di Stato. C’è anche Giovanna Di Rosa, Presidente del tribunale di Sorveglianza di Milano. Dal 2010 al 2014, è stata eletta componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura. Autrice di numerosi articoli sui temi della detenzione, è stata nominata relatrice alla Scuola Superiore della Magistratura.
Si è distinta, durante l’imperversare della pandemia in carcere, nel chiedere all’allora guardasigilli Alfonso Bonafede un meccanismo automatico per la concessione dei domiciliari per far fronte al sovraffollamento che non garantiva – e non garantisce tuttora – posti per garantire l’isolamento sanitario.
Ma non mancano altri magistrati di sorveglianza di valore che dimostrano di avere una conoscenza approfondita della complessità penitenziaria. Pensiamo a Fabio Gianfilippi. Classe 1977, dal 2006 magistrato di sorveglianza di Spoleto e componente del Tribunale di sorveglianza di Perugia. È stato componente degli Stati Generali dell’esecuzione penale e della Commissione Ministeriale per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso presieduta dal professor Glauco Giostra, componente della Commissione Mista per i problemi della magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale istituita presso il Consiglio Superiore della Magistratura dal luglio 2019 e di recente ha fatto parte della Commissione Ruotolo instituita dalla ministra Marta Cartabia. Al solo sentire questi nomi, diverse personalità della politica storcerebbero il naso. A quel punto, potrebbe rimanere in campo un compromesso, ovvero un magistrato che sia una via di mezzo tra Pm e sorveglianza.
Una figura che potrebbe essere la giusta mediazione
Ancora meglio chi ha avuto un percorso che lo ha portato ad attraversare ogni aspetto della questione penale. Dalla criminalità organizzata, fino alla devianza minorile. Un percorso del genere lo ha attraversato il magistrato calabrese Giuseppe Spadaro, attualmente presidente del tribunale per i Minorenni di Trento. Per sette anni ha svolto l’identica funzione a quello di Bologna, ma ancor prima era impegnato nella lotta contro la ‘ndrangheta. Come definito dalla proposta della commissione incarichi direttivi del Consiglio al plenum, si tratta di «magistrato di grande esperienza, maturata prevalentemente nella materia penale, ma arricchitasi anche di profili civilistici connessi allo specifico settore minorile».
Ha dimostrato di avere capacità organizzative (fondamentali per chi vuole dirigere il Dap), tanto da aver innalzato la produttività eliminando arretrato, nonostante carenza di personale amministrativo e sottodimensionamento dell’organico dei giudici. Ma si è distinto anche per lo spessore culturale dei provvedimenti che ha poi il suo corrispondente in una ampia attività di studio che ha prodotto varie pubblicazioni scientifiche e la partecipazione anche come relatore a numerosi incontri di studio. Durante un convegno del 2019 organizzato dalla redazione di
Ristretti Orizzonti nel carcere di Padova, dove hanno partecipato varie personalità, tra le quali Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso a Via D’Amelio, il giudice Spadaro ha spiegato che la fase esecutiva della pena va completamente rivisitata, perché se il tasso di recidiva non diminuisce, vuol dire che il carcere ha fallito. Ma soprattutto, ha aggiunto che tutti hanno il diritto al cambiamento, nessuno escluso. Il tema principale del convegno, non a caso, era dedicato all’ergastolo ostativo.
Resta il fatto che, essere a capo del Dap, vuol dire dirigere, su tutto il territorio nazionale, un complicatissimo mondo in cui conta non solo la sicurezza, ma soprattutto il recupero sociale dei detenuti, le condizioni igienico-sanitarie degli istituti, il lavoro retribuito, l’uso delle misure alternative al carcere propedeutiche al ritorno in libertà. La sfida è importante, perché dovrà fare i conti con un clima perennemente sfavorevole per il raggiungimento di tali obiettivi.