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Antonio Rosa
«E sì, è un momento particolare perché non possiamo misurare con certezza la prospettiva dell’attuale governo: ma a ben rifletterci si tratta pur sempre di un esecutivo espressione della maggioranza uscita dalle ultime elezioni, e se dopo la sentenza sull’Italicum resterà in carica, noi avvocati chiederemo che si compiano alcune scelte urgenti per la professione». È il primo impegno di Antonio Rosa, eletto ieri coordinatore dell’Organismo congressuale forense, il nuovo soggetto a cui compete la rappresentanza politica dell’avvocatura. Già presidente dell’Unione triveneta, professionista del foro di Verona, Rosa è stato indicato dai 51 componenti dell’organismo, insieme con il segretario Giovanni Malinconico ( dell’Ordine di Latina, presidente dell’Unione fori laziali), il tesoriere Alessandro Vaccaro ( presidente dell’Ordine di Genova) e due vicecoordinatori: Armando Rossi ( presidente dell’Ordine di Napoli) e Vincenzo Ciraolo ( presidente dell’Ordine di Messina). Il vertice dell’Ocf si insedia in un momento di frenetica trasformazione del quadro politico e si trova dunque di fronte a un’incognita. «Ma ci sono almeno tre temi caldi: le norme sull’equo compenso, la riforma del processo civile e il disegno di legge penale. Sono tre punti sui quali sarà necessario convocare a breve un congresso straordinario, in modo da riceverne un indirizzo preciso».
Un nuovo Congresso nazionale forense, avvocato Rosa? Sì, credo sia necessario convocarlo già a gennaio, a meno che non si arrivi allo scioglimento anticipato delle Camere subito dopo la sentenza della Consulta sulla legge elettorale. Le mozioni di indirizzo approvate a Rimini non sono sufficienti a stabilire la linea che il nostro Organismo dovrà seguire. E d’altra parte la previsione che saremo tenuti ad attuare deliberati congressuali è la nostra vera forza.
Con l’attuale guardasigilli Orlando l’avvocatura ha avuto un dialogo positivo. Se il governo resterà in carica è auspicabile che, dalle affermazioni senz’altro positive fatte dal ministro, si arrivi a concretizzare. A cominciare proprio dalla disciplina sull’equo compenso: la strada indicata in commissione al Senato, all’interno del ddl sul lavoro autonomo, non è del tutto soddisfacente. Non è chiaro se le norme siano effettivamente applicabili anche alle libere professioni. Siamo di fronte alla sottoretribuzione dei servizi legali, troppi studi lavorano sottocosto, alla sostanziale mercè di potentati come grandi banche e assicurazioni. In proposito credo si misuri anche un aspetto decisivo per l’Organismo congressuale forense.
A cosa si riferisce? Alla capacità dell’avvocatura di restare unita: si riuscirà a individuare la strada giusta da seguire su temi delicati come l’equo compenso a condizione che si superino le contrapposizioni tra rappresentanza politica, rappresentanza istituzionale e associazioni. Gli avvocati devono essere tutti uniti e vicini a questa nuova esperienza dell’Ocf. La nostra è una professione che soffre, non lo si dimentichi.
Crede in un ritorno alla concertazione tra esecutivo e corpi intermedi? Mi auguro intanto che dopo le prossime Politiche ci sia una compagine governativa chiaramente espressa dalla volontà popolare e non un esecutivo tecnico come quelli che abbiamo conosciuto in questi anni e che non hanno fatto bene alle professioni. Di sicuro il dialogo con i corpi intermedi è più a rischio, con i cosiddetti tecnici.
Vede un ripensamento rispetto alla fede cieca nel mercato? Credo si sia compreso che eliminare le regole non sempre favorisca la qualità e liberi la concorrenza in senso positivo. Credo sia necessario ritrovare un’idea della concorrenza che ho sperimentato all’inizio della mia professione: basata sulla ricerca della qualità e non su un ribasso dei costi incondizionato.