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A tratti a subire il processo sembra essere la vittima. Cioè Angela Reyes Coello, 46 anni, uccisa lo scorso anno nella sua casa in via Fillak, a Certosa ( Ge), dal marito, Javier Napoleon Pareja Gamboa, operaio di 52 anni. Per lui, a dicembre dello scorso anno, è arrivata una condanna a 16 anni in abbreviato, a fronte di una richiesta, da parte dell’accusa, di 30 anni.
Ma a far discutere, ancora una volta, sono le parole utilizzate dal giudice, Silvia Carpanini, nel concedere le attenuanti all’autore del delitto. Perché «l’impulso che ha portato Pareja a colpire la moglie con il coltello è scaturito da un sentimento molto forte ed improvviso». Non è stata «la spinta della gelosia» ad armarlo, dopo un violento litigio con la moglie, ma «un misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento, il tutto acuito dai fumi dell’alcol, dalla stanchezza per il lungo viaggio e dal comportamento sempre più ambiguo di Angela».
Insomma, un po’ è stata colpa sua. Perché non può sostenersi «che Pareja abbia dato semplicemente sfogo a una sua innata propensione alla violenza, certamente ha agito sotto la spinta di uno stato d’animo molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile». C’è da comprenderlo, dunque, perché quell’estremo gesto è stata la reazione al comportamento della moglie fedifraga, «del tutto incoerente e contraddittorio, che l’ha illuso e disilluso nello stesso tempo, l’ha indotto a uscire dal volontario isolamento in cui si era ritirato proprio per lasciare spazio alle sue scelte, con la promessa di un futuro insieme, ma tutto questo invano».
Eppure, ammette la giudice, «non può parlarsi di provocazione». A svelare la storia è stato il Secolo XIX, che ieri ha pubblicato alcuni stralci della sentenza. Una decisione, commenta il legale della famiglia della vittima, Giuseppe Maria Gallo, che riporta al concetto di delitto d’onore. «Si tratta di una sentenza dura - commenta al Dubbio - anche perché non possiamo impugnare questa decisione, avendo ottenuto quanto avevamo chiesto: il risarcimento dei danni alla famiglia, che, comunque, non lo vedrà mai, essendo l’imputato nullatenente. Ho chiesto al pm - anche lei donna - di fare appello per una pena più equa, ma ha respinto formalmente la mia richiesta in quanto la sentenza, dice, è ben motivata».
È toccato al legale, dunque, informare la famiglia sull’esito del processo. «Per loro è difficile capire - sottolinea - anche perché si insinua in questo alveo questo concetto della tempesta emotiva, questa apoteosi del nulla. È chiaro che il motivo scatenante di un omicidio di tipo passionale è quello, mi sembra tautologico. Non si può motivare in questi termini la scelta di infliggere quella pena. Forse il legislatore dovrebbe interrogarsi perché qui si producono effetti assimilabili al quelli del vecchio delitto d’onore. Questa situazione rischia di determinare un effetto boomerang, abbassa l’asticella al punto che l’idea di compiere un omicidio potrà essere valutata diversamente sapendo che ci si potrà schermare dietro questo tipo di concetti».
La storia è quella di un rapporto tormentato, fatto di tradimenti da parte della donna, alcol e liti. L’uomo rientra a Genova dall’Ecuador la sera prima del delitto, dopo essere stato via per alcuni mesi proprio per via di una situazione diventata ormai insostenibile. Angela lo ha convinto a rientrare, pur senza aver davvero cambiato vita, secondo la ricostruzione avallata dalla giudice. Che rispetto a quanto avvenuto il giorno del delitto non fa che fidarsi principalmente della versione fornita da Pareja.
«Appena giunto dall’Ecuador per ricongiungersi alla moglie si rende subito conto che la donna non è cambiata: beve ancora molto e la relazione» con l’altro uomo «non è affatto cessata. I due sono in casa, discutono, bevono e ancora discutono e, in un impeto d’ira, l’imputato afferra un groppo coltello in cucina e colpisce Angela con un unico fendente che perfora il polmone e ne determina in pochissimi minuti la morte». Pareja, prima di accorgersi della morte della moglie, va via di casa e viene ritrovato soltanto due giorni dopo, in stato confusionale e sporco di sangue.
Confessa subito, cercando di convincere gli investigatori del fatto che la moglie «tenesse con le mani il coltello, quasi a volerlo attirare contro di sé, incitando il marito a colpirla». Una ricostruzione poco verosimile, scrive il giudice. Che però crede al resto. Agli insulti, ad esempio, quando lei gli avrebbe urlato di non essere abbastanza uomo da colpirla o gli avrebbe detto «di fare schifo». E poco incide, sulla decisione, il fatto che «Pareja sia un uomo di indole aggressiva, che tende a reagire in modo violento ai torti subiti».
L’uomo è tornato in Italia «convinto dalle insistenze della moglie e non può che confidare che sia cambiata, pronta a ricominciare una nuova fase della loro vita coniugale. Ma Angela scrive il giudice - non è affatto cambiata e l’imputato se ne rende conto subito». Non è decisa, prima gli dichiara amore e poi disprezzo, facendo «impazzire il marito».
Ed è d’altronde credibile che la donna, «completamente ubriaca, contraddittoria e incoerente come sempre» abbia provocato Pareja mettendo in dubbio la sua capacità di dimostrarsi uomo. Certo, ammette il giudice, «la scena non ha testimoni ma è indiscutibile che i toni della discussione si siano molto accesi e che la donna completamente ubriaca possa aver fatto o detto qualcosa».
Nessun omicidio, salvo che per legittima difesa, è giustificabile, afferma infine il gup. Ma Pareja, che non ha premeditato il delitto e ha esaurito la sua disperazione con un unico colpo - mortale -, «non ha agito sotto la spinta di un moto di gelosia fine a sé stesso, per l’incapacità di accettare che la moglie potesse preferirgli un altro uomo, ma come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contraddittorio». Insomma, per colpa di Angela.