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«Ho atteso qualche minuto per farli defluire - continua l’avvocato -, ma uscendo ho visto che mi stavano aspettando. Ho camminato verso l’uscita senza guardarli, ma hanno iniziato ad insultarmi». Offese personali, ma anche minacce. «Mi hanno detto: “tanto lo sappiamo dove stai”, “te la facciamo pagare” - ha raccontato -. Io ho accelerato il passo, sono uscito e mi sono indirizzato verso la Procura con alcuni colleghi». Nessuna aggressione fisica ma molta tensione, legata ad un caso umanamente tragico che ha sconvolto la comunità e che è diventato l’ennesimo spunto per dar sfogo ad un giustizialismo strisciante. «La morte di due ragazzi non è mai un evento da prendere a cuor leggero - ha aggiunto -, ma il merito del processo è un piano totalmente diverso. Era tutto organizzato per creare pressione, anche perché il pubblico non potrebbe partecipare ad un’udienza camerale. La cosa più delicata è che sia avvenuto all’interno del tribunale: dovrebbero esserci controlli maggiori. Ma vivo la cosa con totale serenità».
L’episodio è stato spunto per una riflessione più ampia sul lavoro degli avvocati, che al pari di quello di pm e giudici, ha sottolineato ancora Dell’Unto, viene eseguito nell’interesse superiore della giustizia. «Siamo operatori del diritto e dobbiamo lavorare con la morale giuridica, non possiamo confonderla più del dovuto con l’etica morale civile. Noi dobbiamo fare il nostro lavoro ha concluso -. Il processo continuerà ed io l’affronterò in serenità nell’interesse della ragazza, anche lei sconvolta dalla tragedia. Noi chiediamo solo un processo giusto. Non siamo in una piazza, siamo in un’aula di tribunale e indossiamo tutti una toga. Dobbiamo recuperare una visione tranquilla e non cedere a sentimenti di pancia».
Si tratta soltanto dell’ultima aggressione subita da un legale in ordine di tempo: molti i casi, negli ultimi mesi, di avvocati messi alla gogna per aver assunto le difese di indagati coinvolti in casi eclatanti. Un crescendo di violenza verbale e fisica sul quale è intervenuto anche il presidente del Consiglio dell’ordine di Pisa, Alberto Marchesi, che ha manifestato preoccupazione e ha chiesto all’avvocatura una ferma presa di posizione, ponendo l’accento su un tema spinoso, ovvero la tutela della libertà dell’avvocato durante l’espletamento della propria funzione. «L’episodio in questione merita attenta riflessione da parte di tutte le componenti della società civile - ha evidenziato - in quanto si inserisce, con insopportabile ripetitività, nel solco di analoghi comportamenti che sempre più spesso colpiscono gli avvocati solo per il fatto di esercitare, con impegno e professionalità, il compito loro assegnato dalla nostra Costituzione. Invocare, con atti intimidatori, una forma di giustizia cieca, vendicativa e ritorsiva significa negare gli stessi fondamenti dell’ordinamento democratico».