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Gli ultimi tre suicidi avvenuti in carcere sono quelli di detenuti che non hanno superato i 24 anni. Giovani problematici per i quali gli istituti penitenziari sono risultati un fallimento e una opzione che forse non avrebbe dovuto essere contemplata. L’altra volta sulle pagine de Il Dubbio si è parlato del 23enne Giovanni “Jhonny” Cirillo. Un giovane rapper che si è tolto la vita nel carcere campano di Fuorni. Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Regione Campania, ha fatto sapere che il giovane richiedeva con forza il trasferimento in una struttura sanitaria destinata al trattamento di patologie psichiche.
Dopo solo quattro giorni dal fatto, esattamente giovedì scorso, in un altro carcere si è consumato l’ennesimo suicidio, questa volta di un 22enne. Era da pochi giorni nel carcere di Fermo, nelle Marche, ed era in custodia cautelare per una presunta violenza nei confronti della madre. Era problematico, con disagi mentali. «Un problema serio a cui vanno date risposte diverse rispetto al passato. Per i soggetti con problemi psichici e psichiatrici il carcere non basta, devono essere individuate forme d'intervento che vadano oltre la semplice restrizione nell'istituto penitenziario», così il Garante dei diritti delle Marche, Andrea Nobili, ha commentato la tragica notizia. «Nel contesto generale- ha sottolineato Nobili- credo che il riavvio formale delle attività trattamentali possa fornire un contributo non indifferente per rendere più sostenibile la permanenza in carcere, anche su un versante più specificatamente psicologico».
Ancora prima, il terz’ultimo in ordine cronologico, si è suicidato un ventenne marocchino al carcere “Bassone” di Como. Trasferito da un altro carcere nelle scorse settimane, è stato trovato morto nella sua cella nell'infermeria al pian terreno della casa circondariale. Il giovane si è impiccato. Quando gli agenti lo hanno trovato, era ormai troppo tardi per lui. Stessa dinamica un mese fa, quando in una cella di un'altra sezione del carcere si è tolto la vita, impiccandosi con la coda della tuta da ginnastica, un detenuto tunisino di 33 anni. In quell'occasione erano stati i compagni di cella, di ritorno dopo il periodo trascorso all'aria, a trovare il corpo senza vita del loro concellino. Negli ultimi mesi, oltre ai due suicidi, all'interno del Bassone sono stati registrati anche altri due tentativi di impiccagione.
Tanti, troppi casi di suicidio legati al discorso di salute mentale. In tutto 33 suicidi, su un totale complessivo di 89 morti. A questo bisogna aggiungere anche i suicidi degli agenti penitenziari. In tutto quattro dall’inizio dell’anno. L’ultimo è avvenuto l’altro ieri. Si tratta di un assistente capo coordinatore che era in servizio nel carcere di Latina. Nel 2019 sono stati 11 i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita: da gennaio ad oggi, come detto, sono quattro casi. «Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del personale di polizia penitenziaria. È necessario strutturare un'apposita direzione medica della polizia penitenziaria - suggerisce Donato Capece, segretario generale del Sappecomposta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell'amministrazione penitenziaria. Non si perda altro prezioso tempo nel non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio nel Corpo».