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PALAZZO DI GIUSTIZIA PALAZZACCIO PIAZZA CAVOUR CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PALAZZACCIO
C’è una recente pronuncia della Cassazione sulla preclusione assoluta dei benefici previsti dall’articolo 4 bis, che non riguarda solo chi è stato condannato all’ergastolo. Infatti, la riforma voluta dalla pronuncia della Corte Costituzionale riguarda tutti i reati ostativi. Come sappiamo, il 4 bis non si applica soltanto ai reati di mafia o terrorismo, ma nel corso del tempo, da misura eccezionale, è diventato la norma per quei reati che, a seconda delle stagioni, vengono considerati di particolare allarme sociale. Addirittura – e ci sono nostalgici della legge “spazzacorrotti” tra le fila del M5S – l’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede estese il 4 bis anche ai reati contro la Pubblica Amministrazione.
La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 42794 firmata dal Presidente Vito Di Nicola e dal Consigliere relatore Raffaello Magi, ha accolto il ricorso di Klodjan Veizi, smantellando l'impostazione restrittiva del Tribunale di Sorveglianza di Genova, che aveva respinto il reclamo in tema di permesso premio. I giudici sono netti: «La collaborazione con la giustizia non è necessariamente sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento».
Citando la sentenza della Corte Costituzionale n. 97 del 2021 e la giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, la Cassazione ricorda il superamento dell'automatismo che per anni ha impedito l'accesso ai benefici penitenziari. La vicenda riguarda Veizi, arrestato nel novembre 2014 durante un’operazione di importazione di droga dall'Albania e condannato per un reato associativo ai sensi dell’articolo 74 del DPR 309/ 1990, commesso tra il 2011 e il 2013, attraverso l’importazione dall'Albania di ingenti quantitativi di droga leggera. Veizi è detenuto dal novembre 2014 e non ha collaborato con la giustizia. Nonostante dieci anni di detenzione, il Tribunale gli aveva negato il permesso premio a causa della mancata collaborazione.
I giudici evidenziano un passaggio cruciale: «La condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione». Questo concetto è ripreso dalla sentenza Viola contro Italia della Corte Europea, che ha sottolineato come «la dissociazione dall'ambiente criminale può esprimersi in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia». La Cassazione distingue nettamente il contesto mafioso da quello del traffico di stupefacenti.
Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2011, i giudici sottolineano che, nel caso delle associazioni per droga, non si può enucleare «una regola di esperienza» che giustifichi un trattamento uniforme, proprio per l’eterogeneità delle fattispecie. La sentenza introduce un nuovo paradigma valutativo: «È necessario realizzare un’adeguata comparazione tra l'avvenuta emersione di indicatori positivi sull'evoluzione della personalità del detenuto e le ragioni della mancata collaborazione». Non è più sufficiente la semplice regolarità carceraria, ma servono «altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere l'attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata».
Nel caso specifico, la Cassazione ha valorizzato una serie di elementi: 10 anni di detenzione con percorso trattamentale positivo, declassificazione dal circuito di Alta Sicurezza, attività lavorativa interna, recisione dei collegamenti con i correi, e il parere favorevole della Direzione carceraria. La pronuncia si colloca nel solco della sentenza della Corte Costituzionale n. 97 del 2021, che ha definitivamente scardinato il meccanismo dell’ostatività assoluta. I giudici richiamano il principio secondo cui «il carattere assoluto della presunzione di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata impedisce alla magistratura di sorveglianza di valutare – dopo un lungo tempo di carcerazione, che può aver determinato rilevanti trasformazioni della personalità del detenuto – l'intero percorso carcerario del condannato». Un passaggio cruciale ribadisce la funzione rieducativa della pena: «Non può essere la mancata collaborazione il dato “decisivo” per negare la fruizione del permesso premio, pure a fronte di una pluralità di indicatori favorevoli circa i comportamenti tenuti dall’istante in molti anni di detenzione».
L'ordinanza è stata annullata con rinvio, obbligando il Tribunale di Sorveglianza a una rivalutazione della posizione di Veizi. Una decisione che ribadisce le nuove prospettive nell’esecuzione penale, imponendo una valutazione caso per caso, attenta ai progressi individuali e al reale percorso di recupero sociale.