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trojan
Il “contrattacco anti-garantista” del Movimento 5 Stelle sulla giustizia non si è lasciato attendere. Se qualcuno aveva confidato in un ravvedimento, si era sbagliato. A dimostrazione di ciò basta dire che i grillini hanno prospettato di estendere l’uso del trojan per indagare sui casi di riciclaggio. Era la previsione avanzata dall’ex sottosegretario Vittorio Ferraresi, come relatore in commissione Giustizia alla Camera, per integrare la proposta di parere sul decreto legislativo riguardante la “attuazione della direttiva Ue 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale” (Atto n. 286). «Appare pertanto opportuno adeguare le norme nazionali, affinché anche nelle indagini e nell’azione penale in materia di riciclaggio si possa fare ricorso agli strumenti previsti per i gravi reati di criminalità organizzata, quali le disposizioni in materia di intercettazioni, di cui al comma 2-bis dell’articolo 266 nonché ai commi 1 e 2 dell’articolo 267 del codice di procedura penale, e le operazioni sotto copertura, di cui alla legge 16 marzo 2006, n. 146». La ratio sottesa è quella per cui il riciclaggio rappresenta «un importante reato-spia dell’infiltrazione delle mafie». Ma ieri abbiamo appreso che tale aspettativa proposta da Ferraresi non entrerà nel parere della commissione Giustizia, dal momento che tutte le altre forze politiche sono contrarie. Però, fonti parlamentari 5 Stelle ci fanno comunque sapere che «non si trattava di una invenzione di Ferraresi ma di una indicazione data dall’articolo 11 della direttiva, che chiede di introdurre degli strumenti investigativi, come agente sotto copertura o trojan, già utilizzati in altri campi nel contrasto alla criminalità organizzata». La soluzione sarebbe stata comunque mal digerita da coloro che già a settembre dello scorso anno, quando è entrata in vigore la riforma delle intercettazioni, l’hanno fortemente criticata perché in parte accentuava l’uso delle stesse a discapito della prova dichiarativa e, sull’onda lunga della “spazza corrotti”, ampliava proprio l’operatività dei “captatori” ai reati di criminalità economica. L’altro fronte sul quale il Movimento 5 Stelle ha fatto riemergere il proprio orientamento “giustizialista” riguarda il recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Partiamo dal parere stilato dal relatore Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione, che va in direzione opposta ai grillini e restringe, rispetto a quanto già proposto dal governo, i margini di operatività mediatica di inquirenti e investigatori: mentre lo schema di decreto uscito dal Consiglio dei ministri consente i rapporti del procuratore con i media «esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa», Costa vorrebbe eliminare queste ultime. Impensabile per il M5S che, invece, sulla scia di quanto detto in audizione anche dal presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, vorrebbe emendare il testo togliendo ‘esclusivamente’ e sostituendolo con ‘preferibilmente’. I pentastellati poi chiedono anche la modifica dell’articolo 4 comma 2 per cui «nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti» di legge. Secondo i 5 Stelle invece il giudice deve avere piena libertà di espressione nelle motivazioni, senza alcuna restrizione.Tornando al parere di Costa, va anche oltre: mira al “divieto di comunicazione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati”. Insomma un modo per interrompere la costruzione di carriere e l’acquisizione di fama sulle spalle degli indagati. Inoltre, il relatore del parere vorrebbe restringere la facoltà di interlocuzione con gli organi di informazione al solo procuratore della Repubblica, escludendo che “gli ufficiali di polizia giudiziaria o gli uffici stampa delle forze di polizia” siano “autorizzati a fornire informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato”. Fine delle inchieste show a colpi di video autocelebrativi. Costa inserisce poi un riferimento all’articolo 7 della direttiva Ue non preso in considerazione nel testo governativo e che tutela il “diritto al silenzio” e il “diritto a non autoincriminarsi”: «Seppure si tratti di diritti riconosciuti nel nostro ordinamento - scrive Costa - la giurisprudenza talvolta fa discendere dal loro esercizio effetti su commisurazione della pena, concessione delle attenuanti e riparazione per ingiusta detenzione»; pertanto auspica che «si chiarisca che nella commisurazione della pena e nella concessione delle attenuanti non possono essere tratte conseguenze dal silenzio» e che «sia specificato all’articolo 314 del codice di procedura penale che la condotta dell’indagato che in sede di interrogatorio si sia avvalso della facoltà di non rispondere non costituisce, ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, elemento causale della custodia cautelare subita».