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«Nonostante alla fine sia stata assolta, lo Stato italiano non è assolto per avermi tenuto quattro anni in carcere e avermi tenuto sotto processo per 8 anni senza nessuna prova contro di me. E non sono assolti i media, che hanno venduto una storia scandalosa». Amanda Knox si è rivolta sabato così alla platea del Festival della Giustizia penale a Modena, teatro del suo ritorno in Italia a otto anni dalla sua scarcerazione. La giovane americana ha raccontato gli effetti del processo mediatico, di cui assieme all'ex fidanzato Sollecito, all'epoca, fu vittima senza appello. [embed]https://www.facebook.com/euronews/videos/1262720297227093/[/embed] La sua storia, una delle più controverse della cronaca italiana, è quella dell’omicidio della sua coinquilina di Perugia, Meredith Kercher, per il quale è rimasta anni sotto processo e per il quale oggi è in carcere Rudy Guede. Giudicata ancor prima del processo, condannata, marchiata a vita. Al punto che, ancora oggi, nonostante l'assoluzione, la sua presenza in Italia fa ancora discutere. Condannata, poi assolta dalla Corte d’assise d’appello, dunque scarcerata a ottobre 2011, quando tornò senza voltarsi indietro negli Usa, da dove ha seguito il resto del processo. Un’assoluzione annullata in Cassazione, che ha portato ad un nuovo processo, una nuova condanna e, infine, all’ultimo verdetto: la sua irrevocabile assoluzione. Ma non senza scontare un’altra sentenza definitiva, piombata su lei e sull’allora fidanzato Raffaele Sollecito: quella dell’opinione pubblica, che li bollò subito come colpevoli, a prescindere da tutto. Una presenza inopportuna, secondo l’avvocato Francesco Maresca, legale della famiglia Kercher, che ha invitato a portare «rispetto» anche per i giudici che l’hanno «ritenuta colpevole» in diversi gradi di giudizio. Ma Amanda, con la voce rotta dall'emozione e dal pianto, ha voluto comunque raccontare la sua versione dei fatti. «Sono stata per la prima volta in Italia da bambina e mi sono innamorata di questo paese. Quando sono tornata, a 20 anni, ho incontrato la tragedia e la sofferenza. Nonostante ciò, e forse per questo, l’Italia è diventata parte di me. E sono tornata questa terza volta perché lo dovevo fare. Perché una volta in questo bellissimo paese mi sentivo come a casa. E spero di sentirlo di nuovo così un giorno. Tanta gente pensa che io sia pazza a venire qui, che sarò nuovamente accusata e rimandata in prigione.La verità è che ho paura oggi di essere molestata, derisa e di essere nuovamente accusata. Ma soprattutto temo che mi mancherà il coraggio. So che nonostante la mia assoluzione emessa dalla Corte di Cassazione, rimango una figura controversa per l’opinione pubblica, soprattutto qui in Italia. So che molte persone pensano che io sia cattiva, alcuni hanno affermato che solo stando qui con la mia presenza sto traumatizzando la famiglia Kercher e profanando la morte di Meredith.Non è così. Il mostro è quanto possono essere potenti le illazioni false, specialmente quando sono rafforzate dai media. I media possono anche rafforzare la verità, se i giornalisti ne hanno il coraggio. Il primo novembre 2007 un ladro di nome Rudi Guede è entrato nell’appartamento e di Meredith e ha violentato e ucciso Meredith, lasciando le sue impronte digitali. è stato catturato, processato e condannato. Eppure la polizia, il pubblico ministero e i media hanno concentrato la loro attenzione su di me. Come mai? Con i furgoni della tv ammassati davanti alla nostra casa, i poliziotti erano sotto una pressione immensa che chiedeva loro di arrestare al più presto un colpevole.Hanno deciso di indagarmi, ma non sulla base di prove o testimonianze, ma su nient’altro che su una intuizione investigativa. Pensavo di stare aiutando la polizia, in realtà per 5 giorni sono stata sottoposta a un interrogatorio per 50 ore senza un avvocato e in una lingua che non era la mia. Mi hanno accusato, ero a 3mila miglia da casa, priva di sonno, spaventata e davanti a figure autoritarie che avevano il doppio della mia età. Ho così accettato di firmare una dichiarazione che accusava Patrick Lumumba. Ore dopo ho ritrattato, ma nonostante lui avesse un alibi sicuro lo hanno arrestato e il giorno dopo in una conferenza stampa hanno parlato di caso chiuso. Questo è stato il momento in cui media avrebbero potuto evitare quanto poi è successo. Perché i media almeno begli Usa sono la nostra arma di difesa davanti all’autorità. Avrebbero potuto chiedere: in base a quali prove? Invece i media hanno pompato il gas. Nel corso delle indagini per mesi i media, anziché esaminare le prove, si sono concentrati su un via vai di colpi di scena e testimoni che poi si sono rivelati essere tutt’altro.Per loro ero una furba, psicopatica e drogata puttana, colpevole fino a prova contraria. Era una storia falsa e infondata, ma parlava alle paure e alle fantasie della gente. All’improvviso sono diventata una figura pubblica. Io e i miei genitori siamo stati dipinti come un clan. Questa immagine fornita dai media è entrata anche in aula, creando un circolo vizioso. Prima ancora che iniziasse il mio processo io ero sepolta da una montagna di fantasie da tabloid. L’inchiesta è stata contaminata, la giuria è stata corrotta, era impossibile per me avere un processo giusto. L’opinione pubblica non deve rispondere a nessuno, non ci sono regole, se non il fatto che il sensazionalismo vince, non ci sono nemmeno i diritti umani per l’opinione pubblica. Io non me ne sono resa conto allora. Io avevo fiducia che la mia innocenza mi avrebbe salvata. Avevo zero motivazioni per uccidere la mia amica. Poi ho sentito il giudice pronunciare: colpevole. E il verdetto l’ho sentito addosso come un peso schiacciante.Ero disorientata. Ero innocente, ma il resto del mondo aveva deciso che ero colpevole. E avevano riscritto la realtà. La mia innocenza non mi ha salvata, perché i pubblici ministeri e i media avevano creato una storia. E alla gente piaceva questa storia: la sporca psicopatica mangiatrice di uomini. Quella persona confezionata, disegnata dagli altri, è stata condannata a 26 anni di carcere. Ma ad essere stata ammanettata realmente non era quella persona, ero io.Se avessi lasciato che la prigione prendesse il sopravvento su me, sarei emersa come un cane rabbioso. Questo sarebbe successo se non fosse stato per il cappellano della prigione, Don Saulo Scarabattoli.La prima volta che l’ho incontrato gli ho chiesto se lui credeva che fossi innocente e la sua risposta mi ha spezzato il cuore: mi ha detto ‘credo che la tua risposta sia sincera’, ma non ha detto ‘ti credo’. Nemmeno il cappellano mi credeva. Ma nel corso degli anni Don Saulo e io siamo diventati amici, abbiamo discusso temi filosofici insieme e lui non mi ha mai giudicato. Ha sempre ascoltato e io non dimenticherò mai l’ultima volta che sono stata con lui, il giorno del verdetto d’appello. Io non ero sicura di poter sopravvivere al crepacuore di un altro verdetto di colpevolezza, ma don Saulo era convinto che stavo finalmente per tornare a casa.Il sistema giudiziario italiano alla fine ha stabilito la verità. Sono grata alla Cassazione e agli altri giudici per avermi vendicato. E quest’anno la Corte europea dei diritti dell’uomo mi ha vendicato condannando la Repubblica italiana perché non ha garantito i miei diritti. Ma tutto questo non assolve lo Stato per avermi processato per 8 lunghi anni senza nessuna prova. E non assolve i media, che hanno venduto una storia scandalosa, trasmettendo uno spettacolo mentre il mio processo era ancora in corso. Ancora oggi i media trattano la mia storia come contenuto per i loro introiti.In quei 4 anni di carcere e 8 di processo e ancora oggi ho dovuto sostenere molti costi per gli errori degli altri.A 20 anni ero una ragazza felice e vivace e sono stata costretta a trascorrere il mio ventesimo compleanno in un ambiente malsano: anziché sognare una carriera o una famiglia, meditavo il suicidio. I miei famigliari hanno dovuto chiedere prestiti per sostenere i costi della mia difesa. Questo non è un problema dell’Italia, gli errori giudiziari accadono ovunque. Nel sistema giudiziario i media sono strumenti, non buoni o giusti in se stessi ma a seconda di come è la persona che li maneggia.Di recente sto pensando al mio pubblico ministero, il dottor Giuliano Minnini: da molto tempo spero di avere un confronto con lui faccia a faccia, al di fuori della stanza dell’interrogatorio, dove lui è il buono e io la cattiva. Per me lui era una figura mostruosa che aveva un solo obiettivo: distruggere la mia vita senza una ragione. So che questa mia immagine di lui è sbagliata, è piatta e falsa come l’immagine di Foxy Knoxy. Nel documentario di Netflix non ho visto in lui un uomo cattivo, ho visto un uomo con motivazioni forti e nobili che voleva dare verità alla famiglia Kercher. Spero che lui un giorno possa vedere che io non sono un mostro».