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Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo presentato dall’avvocato Flavio Rossi Albertini contro l'applicazione del 41 bis all’anarchico Alfredo Cospito. Ancora non si conoscono le motivazioni, ma tale decisione è un duro colpo per chi ha ritenuto inaccettabile tale misura disposta dal ministro della Giustizia precedente. Il motivo? Durante la detenzione in alta sicurezza (As2), altra tipologia di regime differenziato, inviava i suoi scritti ai compagni anarchici. Scritti politici non segreti, non i “pizzini” come i mafiosi, ma riflessioni rese pubbliche sui giornali anarchici e siti on line.
A 30 anni dall’istituzione del 41 bis - nato come misura emergenziale durante le stragi della mafia corleonese, ma poi resa “ordinaria” – a marzo scorso si è creato un precedente: per la prima volta un anarchico varca la soglia del carcere duro. Eppure tale misura nasce per impedire i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza, mentre nel caso specifico si è deciso di interrompere e impedire a Cospito di continuare a esternare il proprio pensiero politico, attività, tra l’altro, pubblica, pertanto né occulta né segreta; destinata non agli associati, bensì ai soggetti gravitanti nella galassia anarchica. Non si tratta di un dettaglio trascurabile: a differenza della mafia o l’organizzazione terroristica come le ex Br, è notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e forma organizzata. A ciò si aggiunge il fatto che la sigla incriminata sarebbe quella della Fai (Federazione anarchica informale), ma che nel concreto non risulta una associazione, ma un “metodo”. Non è una struttura organizzata, ma una sigla che ognuno la utilizza in maniera “soggettiva”.
Alfredo Cospito, assieme ad Anna Beniamino, era stato dapprima condannato per strage contro la pubblica incolumità per due ordigni a basso potenziale esplosi presso la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano senza causare né morti né feriti. Un reato che prevede la pena non inferiore ai 15 anni. Poi il colpo di scena: la Cassazione ha riqualificato il reato a strage contro la sicurezza dello Stato. Parliamo dell’articolo 285 che prevede l’ergastolo. Si tratta del reato più grave del nostro ordinamento che non è stato nemmeno applicato per le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Reato introdotto dal Codice fascista Rocco che prevedeva la pena di morte (ora l’ergastolo, in questo caso ostativo). In sostanza, parliamo di un reato introdotto per evitare la guerra civile. Ergo, con quelle azioni dimostrative, Cospito avrebbe messo in pericolo l’esistenza dello Stato. Chiaro che tutto ciò appare spropositato.
Di fatto, il 5 dicembre scorso, la corte d'Assise d'Appello di Torino doveva decidere per la rideterminazione della pena, ma ha accolto alcune eccezioni della difesa degli anarchici inviando gli atti alla Corte costituzionale. Con questa decisione, i giudici stessi, resisi conto della possibile stortura, si sarebbero chiesti, rinviando gli atti alla Consulta, se possa essere riconosciuta all’imputato, almeno, l’attenuante della speciale tenuità del fatto, qualora fosse davvero emersa la connotazione dimostrativa di un attentato, neppure potenzialmente lesivo dell’incolumità delle persone. Perché, se così fosse, in sede di bilanciamento per la determinazione dell’entità della pena, tale attenuante potrebbe prevalere sulla recidiva specifica reiterata contestata e consentire l’inflizione di una più equa pena della reclusione fra i 21 e i 24 anni: comunque non il fine pena mai come l’ostativo.
Ma nel contempo, il tribunale di Roma ha deciso che Cospito deve rimanere al 41 bis. Una notizia che desta preoccupazione, anche perché l’anarchico è in sciopero dalla fame da oltre 60 giorni proprio per protestare contro questa misura. Sta male, ha perso oltre 20 kg, con gravi conseguenze parzialmente mitigate dall’assunzione di integratori alimentari che gli sono stati concessi solo dopo la visita al supercarcere sardo di Bancali della delegazione del Garante Nazionale composta dal Presidente Mauro Palma e da Daniela de Robert. Di fatto, al Bancali, le ore d’aria si sono ridotte a due, trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri, il cui perimetro è circondato da alti muri che impediscono alcuna visuale o semplicemente di estendere lo sguardo all’orizzonte, mentre la visuale del cielo è oscurata da una rete metallica. Un luogo caratterizzato in estate da temperature torride e in inverno da un microclima umido e insalubre.
Il Bancali, inoltre, ha una peculiarità stigmatizzata a suo tempo dal Garante nazionale. Nel rapporto si può apprendere che le sezioni del 41 bis sono state realizzate in un’area ricavata, scavando, al di sotto del livello del mare. Le cinque sezioni scendono gradatamente, con una diminuzione progressiva dell’accesso dell’aria e della luce naturale, che filtrano solo attraverso piccole finestre poste in alto sulla parete, corrispondenti all’esterno al livello di base del muro di cinta del complesso.
Il dramma è che Cospito ha deciso di non interrompere il digiuno. Senza scomodare Bobby Sands, l’indipendentista irlandese di 27 anni che nel 1981 si è lasciato morire in carcere di fame e di sete, qui in Italia abbiamo avuto altri casi simili. Nel 2017, nel carcere di Cagliari, dopo due mesi di sciopero della fame è morto l’indipendentista sardo Doddore Meloni. Il suo legale aveva messo in guardia le istituzioni che rischiava di morire. Francesca Meloni, la figlia di Doddore, si era incatenata sulle scale del Palazzo di Giustizia di Cagliari, per chiedere che al padre vengano riconosciuti gli arresti domiciliari. Il magistrato rigettò e poi arrivò il dramma. Ma le tragedie si possono evitare. Il 41 bis si può revocare. Una misura che in un Paese civile andrebbe abolita, perché anacronista. Non siamo più nei primi anni 90, quando imperversavano le stragi mafiose. A maggior ragione non ha senso per le persone come Cospito. Uno Stato che usa trattamenti muscolari attraverso eccessive condanne e misure sproporzionate, non può definirsi “liberale”.