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L'anarchico Alfredo Cospito è al 41 bis
Con la cattura di Matteo Messina Denaro, c’è l’inevitabile reazione – dettata dall’onda emotiva – che rafforza la necessità del 41 bis, sorvolando sulle sue storture sia nell’applicazione che nell’esecuzione visto le innumerevoli misure afflittive (alcune già tolte dalle sentenze della cassazione e della Consulta) che esulano dal suo scopo originario. E si rischia di oscurare la vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito che da tre mesi è in sciopero della fame.
Da giorni è sul tavolo del ministro della Giustizia Carlo Nordio la nuova richiesta di revoca presentata dall’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini. Ma ancora nessuna risposta e c’è il rischio che rimanga inevasa. Così come l’appello “Per la vita di Alfredo Cospito” rivolto al Guardasigilli e all’Amministrazione penitenziaria da parte magistrati, avvocati, personalità della cultura tra cui Massimo Cacciari, Gian Domenico Caiazza, don Luigi Ciotti, Gherardo Colombo, Elvio Fassone, Luigi Ferrajoli, Giovanni Maria Flick, Tommaso Montanari, Moni Ovadia, Livio Pepino, Nello Rossi.
Nel frattempo, martedì scorso, il legale è andato a visitare il suo assistito recluso nel supercarcere di Sassari e l’ha trovato profondamente dimagrito. Ha perso 40 kg e rischia seriamente di morire. L’avvocato Albertini ha spiegato che Cospito continua ad affermare che non arresterà la sua protesta, se non con la revoca del 41 bis a cui è sottoposto, consapevole del significato che questa affermazione può rappresentare.
«Precisa che la vita al 41 bis non è vita e che se tale deve essere tanto vale sacrificarla in una lotta contro la barbari», fa sapere il suo difensore, riferendo che «Cospito continua a dimagrire superando, oltrepassando, il punto critico della sua protesta, condotto con e sopra il suo corpo e la sua salute, ma il ministero continua a serbare un incomprensibile silenzio sull'istanza di revoca inviatagli dalla difesa».
L’avvocato prosegue sottolineando che «eppure era stato lo stesso ministro a lamentare in una nota l'assenza di un suo formale coinvolgimento. Ciò detto, anche qualora la decisione ministeriale fosse negativa, Cospito e tutti e tutte coloro mobilitatasi in questi mesi a sostegno del suo sciopero della fame, hanno il diritto di sapere per quali ragioni l'anarchico debba essere condannato ad espiare la sua pena nel regime detentivo speciale». Infine conclude amaramente: «Non vorremmo che, come spesso avviene, il ministero attendesse lo spirare dei 30gg dalla presentazione dell'istanza e quindi omettesse qualsiasi esplicita decisione trincerandosi in un silenzio-diniego privo di motivazioni, di ragioni, di senso dell'umanità».
Il caso dell’anarchico Cospito è serio. Le sue condizioni di salute sono ogni giorno più serie e il rischio che possa morire diventa sempre più alto. Così come, va ribadito, non si comprende come mai sia stato raggiunto da una misura nata per evitare che un boss o un terrorista invii messaggi occulti alla propria organizzazione. Quelli di Cospito, seppur farneticanti, sono pensieri inviati alla luce del sole. E non a una organizzazione criminale, ma a soggetti gravitanti nella cosiddetta galassia anarchica. A ciò si aggiunge un nuovo e fondamentale elemento che ha permesso al suo avvocato di ripresentare la richiesta di revoca: ovvero che non esiste la Federazione anarchica informale (FAI) come associazione o organizzazione. Non è un dettaglio da poco, perché il 41 bis – come prevede la legge che l’ha istituito – serve per evitare che i boss o i terroristi, diano ordini a una organizzazione ben strutturata. E non è il caso di Cospito.
È quello che emerge nero su bianco dalle motivazioni della sentenza di assoluzione del processo Bialystok che ha visto 6 anarchici sotto accusa per diverse tipologie di reati. Ipotesi investigativa che dette il via all’operazione Byalistock, poi scaturito in un processo con tanto di assoluzione, parte dal presupposto dell’esistenza di gruppo criminale della federazione anarchica informale (Fai) avente come base a Roma presso il Bencivenga occupato, compagine che si muoverebbe nell’alveo delle indicazioni di Cospito.
La sentenza in esame ha escluso la presunta esistenza di questa cellula ritenuta affiliata alla Fai. Ogni azione non è riconducibile alla Fai come associazione e organizzazione, ma alla Fai come metodo. In sostanza, emerge chiaramente una differenza tra Fai metodo e Fai associazione. Ogni singola azione è riferita alla “Fai metodo”, ossia a quel fenomeno di concorso di persone nel reato nelle singole vicende, ma rispetto al quale resterebbe esclusa la possibilità di ricondurlo a un’ipotesi associativa.
Come già riportato su Il Dubbio, questa situazione è una grana non da poco per l’attuale governo, anche alla luce del fatto che il 41 bis, a causa del suo utilizzo spropositato, è stato al centro di varie sentenze che passano dalla Corte costituzionale fino ad arrivare alla Corte Europea di Strasburgo con il caso dell’ex boss Bernardo Provenzano. Ancora altre condanne, e il 41 bis potrebbe finire pesantemente compromesso nella sua legittimità a causa del suo stesso smodato utilizzo. a Corte Costituzionale, nella nota sentenza numero 376 del 1997, ha ben spiegato come anche nel caso del 41 bis, pensato per contrastare la criminalità organizzata, sia necessario sempre tenere in adeguata considerazione l’articolo 27 della Costituzione, con i suoi riferimenti alla dignità umana e alla rieducazione del condannato.
Non solo. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, tramite un rapporto rivolto alle autorità italiane relativo a una visita effettuata nel 2019, raccomandò alle stesse di effettuare sempre «una valutazione del rischio individuale che fornisca ragioni oggettive per la continuazione della misura». Il Comitato sollecita che vi sia sempre una valutazione estremamente rigorosa del caso individuale evitando standardizzazioni nel trattamento solo sulla base del titolo di reato. E proprio intorno a una accurata valutazione del rischio si sofferma anche la Raccomandazione del 2014 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa rivolta ai Paesi membri sul trattamento inflitto ai detenuti ritenuti pericolosi.
Ricordiamo che la Corte europea dei diritti umani, nel 2018, ha condannato l'Italia per la decisione di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 fino alla morte del boss mafioso, nonostante fosse in stato vegetativo. Attenzione: la Cedu non condanna l'Italia per le condizioni di detenzione previste dal 41 bis in sé, ma per la riconferma di un regime duro lì dove non ci siano più i presupposti. E i presupposti non ci sono nemmeno nel caso di Cospito come ben argomentato dal suo legale.