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Alessandro Limaccio, siciliano di Lentini, è in carcere dal 1995, da quando aveva 23 anni, condannato a quattro ergastoli ostativi per cinque omicidi dei quali si è sempre proclamato innocente, anzi estraneo. Sociologo, nel 2018 è stato insignito del Premio Nazionale alla cultura "Sulle ali della libertà", con l'Alto patrocinio del Presidente della Repubblica. È il primo detenuto in Italia ad aver conseguito un dottorato di ricerca dietro le sbarre ed è anche il primo a rifiutarsi di chiedere i permessi per poter proclamare con più forza la sua innocenza. Ora è in libreria con «Il sociologo detenuto - Una storia Etnografica» (Herald Editore, collana Quaderni del carcere, pag. 178, euro 15) in cui realizza un resoconto etnografico dei suoi anni in carcere. Un racconto di sofferenza Se per la Treccani l'etnografia è la «Rappresentazione scritta delle forme di vita sociale e culturale di gruppi umani», per il nostro autore «non è mai un semplice elenco di cose viste e sentite, ma è una più o meno complessa operazione di scrittura, una modalità di presentazione dei dati, che siano in grado di produrre non soltanto etnografia di una determinata cultura, ma anche etnografia di un incontro di culture (quella del sociologo e quella che quest’ultimo vuole studiare), attraverso un rapporto dialogico, interattivo, interpretativo e riflessivo». Detta in maniera più semplice il libro «descrive le mie esperienze sul campo: le pagine che seguono sono un racconto di sofferenza, determinazione, angoscia, coraggio, speranza e fede». Già, quella speranza che lui non perde pur avendo un “fine pena mai” che, come ricorda il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma nella nota introduttiva al libro, rappresenta «una “pena capitale” così come Luigi Ferrajoli l’ha definita poiché – egli scrive – "cambia radicalmente la condizione esistenziale del detenuto, il suo rapporto con sé stesso e con gli altri, la sua percezione del mondo, la sua raffigurazione del futuro. Pena capitale nel duplice senso: perché è una privazione di vita e non solo di libertà, una privazione di futuro, un’uccisione di speranza».
Un ragazzo di sana famigli e attivista della Democrazia cristiana Ma chi è Alessandro Limaccio? Impariamo a conoscerlo in un racconto nel racconto grazie all'introduzione di Enrico Rufi, storica voce notturna di Radio Radicale: « Io ho conosciuto Alessandro tre anni e mezzo fa. Volevo abbracciare le persone che pochi mesi prima dal reparto G8 del carcere di Rebibbia, qui a Roma, avevano scritto una fraterna lettera di vicinanza e consolazione alla mamma, alla sorella e al papà (Rufi, ndr) dell’unica ragazza che non era tornata dalla Giornata Mondiale della Gioventù», per una meningite fulminante. Rufi crede profondamente nell'innocenza di Alessandro, ragazzo di sana famiglia che credeva nelle istituzioni, lontanissimo da contesti mafiosi, e attivista della Democrazia cristiana; «eppure le gesta criminali che gli vengono attribuite fanno di lui non un killer assoldato all’occorrenza, un comodo insospettabile “monouso” per così dire, ma un picciotto regolarmente inquadrato nei ranghi di un clan mafioso». Ed è così che becca quattro ergastoli ostativi che secondo il giornalista di Radio Radicale sono la conseguenza di una vendetta di un marito tradito «che aveva subito l’umiliazione di veder la moglie quarantenne scappare con quel ventenne aitante e intraprendente, lui che era uno degli uomini più potenti nelle istituzioni a Catania». A ciò devono aggiungersi: «Telefonate anonime, voci confidenziali, pentiti, pseudopentiti, ma anche giudici ricorrenti e intercambiabili. Si prenda Francesco Aliffi: giudice a latere nella Corte d’Assise di Siracusa che aveva condannato Alessandro Limaccio al primo ergastolo nel procedimento “Tauro”; pubblico ministero nel procedimento “San Marco” che comminò tre ergastoli al futuro sociologo per i quattro omicidi appena citati». Il libro e la storia di Alessandro sono molto di più di queste parole, quindi non dovete far altro che comprarlo. La conclusione di questa recensione la affidiamo proprio alle parole di Alessandro Limaccio: « Per quanto riguarda il mio caso giudiziario, con incrollabile fede in Dio, continuerò a urlare la mia innocenza, credendo nella magistratura e sperando che un Giudice onesto si interessi al mio caso, lo prenda a cuore e abbia il coraggio di non negare l’evidenza della mia totale estraneità ai fatti a me imputati e, con lealtà verso il diritto e applicando la legge, mi renda quella giustizia che ho sempre chiesto». E noi speriamo con lui.