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Al centro c’è la persona. Il Cnf lo scrive nel titolo. Sintetizza così un documento ponderoso, di 111 pagine. Si tratta delle proposte che l’avvocatura avanza al governo, e innanzitutto al guardasigilli, per il Recovery plan. Un regalo per la giustizia, per chi la amministra, e in ultima analisi per i cittadini. Proposte con cui l’istituzione forense realizza un’ambizione: dare un orizzonte umanistico a una rotta già fissata. Cioè stabilire come andranno usati quei 2,3 miliardi di euro riservati alla giustizia dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Ci saranno le assunzioni, come ha ricordato una nota di via Arenula sabato scorso, la digitalizzazione, l’edilizia giudiziaria, persino il reclutamento di figure professionali tecniche destinate a gestire strutture fisiche e immateriali. Ma il Consiglio nazionale forense suggerisce di rivolgere tutto questo alla coerenza con un principio: la giustizia deve essere al servizio non dell’economia ma, appunto, della persona.
I TRE PILASTRI INDICATI DAL CNF
La “Proposta” degli avvocati italiani per il Recovery è stata consegnata al guardasigilli Alfonso Bonafede pochi giorni fa. Certo la fase politica convulsa crea incognite notevoli. Ma proprio rispetto alle incertezze sul futuro del governo, gli avvocati, attraverso la loro istituzione, chiedono di fissare quel principio: la giustizia della nuova Italia, del dopo covid, non va subordinata all’ossessione efficientista. Si deve invece tener conto di quanto osservato negli ultimi anni anche dalle istituzioni europee e internazionali, che “hanno evidenziato il ruolo del sistema giudiziario, nell’assicurare lo sviluppo di una società inclusiva” e caratterizzata da un benessere più diffuso. Anziché barriere d’accesso e derive robotiche, si deve partire dai tre pilastri di cui parla nell’intervento firmato oggi sul Dubbio — e in un comunicato diffuso ieri alle agenzie — la presidente del Cnf Maria Masi: razionalizzare l’esistente, migliorare l’organizzazione giudiziaria con nuove figure professionali, come il “court manager”, e rafforzare la specializzazione di quelle che già esistono, magistrati inclusi. Di fatto, un nuovo ecosistema dei diritti. Una nuova armonia fra giurisdizione e società. La strada più semplice per ricostruire la fiducia dei cittadini nella giustizia che la crisi degli ultimi anni ha sgretolato.
INCLUSIONE, NON BARRIERE D’ACCESSO
Si dirà: ma la rivoluzione giudiziaria basata sull’umanesimo non sarà un’utopia? In realtà, non va sottovalutato un aspetto: dalla tragedia della pandemia potrebbe, almeno, venire una palingenesi. Anche grazie alle risorse del Recovery. Che però vanno intese come occasione per un “cambiamento dell’approccio stesso alla giurisdizione e al sistema di tutela dei diritti”. Il Cnf è convinto che la giustizia del futuro vada disegnata su “coordinate del tutto nuove, rispetto a quelle finora dettate”. Lontane dal mood meramente economicista, dal refrain dei risparmi realizzati con processi più veloci ma meno attenti alle garanzie, dalla esigenza esclusiva di attrarre investitori. Al centro non può esserci solo l’economia, va riportata innanzitutto la persona.
Una prima chiave concreta per comprendere lo scarto fra mainstream efficientista e nuovo umanesimo dei diritti è in una distinzione: secondo la “Proposta” del Cnf vanno “messi a frutto e potenziati gli approdi positivi delle riforme che hanno prodotto benefici in termini di effettività della tutela giurisdizionale; ma nello stesso tempo vanno corretti gli interventi che hanno realizzato il risultato inverso, va cambiata radicalmente la filosofia di intervento in modo da garantire la persona anziché ridurre l’accesso alla giurisdizione e le garanzie processuali, nella ricerca cieca dei risparmi”.
COME SI “DEFLAZIONA” LA GIUSTIZIA CIVILE
Un’ampia sezione del documento è dedicata alla giustizia civile. Qui forse rischierebbe di realizzarsi il più acuto contrasto fra visione inclusiva della giustizia, che l’avvocatura invoca, e tentativi di risparmiare attraverso strumenti “deflattivo- dissuasivi”. Distorsione, quest’ultima, che arriva a ridurre il contenzioso attraverso l’esclusione dalla tutela dei diritti. Sono ben altre le strade da percorrere, secondo il Cnf. Va innanzitutto rivisto il “catalogo della giurisdizione volontaria”, va affidata alle categorie professionali più competenti rispetto ai singoli settori tutta l’area in cui il giudice interviene non già a risolvere il conflitto bensì ad “amministrare”. Si propone dunque di “degiurisdizionalizzare” e affidare a professionisti “talune procedure della giurisdizione contenziosa, prima tra tutte la fase monitoria del procedimento per ingiunzione”. L’impatto che ne verrebbe in termini di carico dei ruoli “non è da sottovalutare”: la domanda relativa alla volontaria giurisdizione nel quinquennio 2014- 2019 “ha fatto registrare un aumento del 48 per cento. Il 71% dei procedimenti sommari introdotti nel 2019 è costituito, invece, da ricorsi per decreto ingiuntivo”.
Si deve investire anche nella giustizia complementare, ossia nell’arbitrato rituale, riconosciuto come equipollente giurisdizionale dalla Consulta. Molte liti, di valore ridotto, o comunque insorte in contesti destinati a doversi conservare — che si tratti di famiglie o rapporti condominiali — troverebbero migliore possibilità di composizione in contesti più “collaborativi”, meno strutturati e di per sé meno conflittuali rispetto al processo. Non ci si può arrivare, avverte il Cnf, con “l’imposizione di condizioni di procedibilità ma offrendo benefici reali a chi si orienta verso tali procedure”, a cominciare da “agevolazioni fiscali” e “estensione del patrocinio a spese dello Stato”.
LE RIFORME PENALI CHE SERVONO
Paragrafi sono destinati anche al penale e alle giurisdizioni speciali. Sul primo versante si indicano scelte che non sempre coincidono coi contenuti della riforma all’esame del Parlamento — e che nel Recovery del governo riservato alla giustizia è citata come una riconversione virtuosa. C’è sì una possibile convergenza fra avvocatura e progetti di riforma quando il Cnf chiede di “prevedere casi di inutilizzabilità degli atti posti in essere dalla pubblica accusa durante le indagini preliminari esperiti oltre il termine massimo consentito”. Ma il Cnf è assai più “rivoluzionario” nel puntare sui riti alternativi a prescindere dalla “gravità del reato o dall’allarme sociale che desta nella collettività”.
LE NUOVE COMPETENZE
Vicinanza al cittadino è anche consapevolezza dei limiti. Il Cnf chiede dunque l’abiura alla pretesa del giudice onnisciente. Non solo andrebbero istituite per esempio “sezioni specializzate per la famiglia e la persona, che accorpino le funzioni dei diversi uffici attualmente competenti”, ma va rafforzata anche la “specializzazione del giudice”. Elemento, ricorda l’istituzione forense, “valutato in termini di miglioramento di qualità ed efficienza dalle istituzioni europee”. Serve digitalizzare, certo, e sul punto non c’è conflitto fra Recovery del governo e “Proposta” del Cnf. Ma non si deve scantonare nella giustizia predittiva o robotica. Casomai si deve guardare con umiltà, anche nei tribunali, a una distinzione fra vertice giudiziario e guida gestionale dell’ufficio. Perciò l’avvocatura suggerisce di istituire la figura del “court manager”, interpreta da “professionisti specificamente formati con elevatissimi standard”. Si deve riconoscere, scrive il Cnf, che “l’acquisizione di competenze di organizzazione e pianificazione ma anche comunicazione e leadership non può costruirsi con poche ore di formazione ma si fonda su esperienze e skills maturati nel tempo”. Ci sono gli investimenti, che sempre per citare la nota diffusa sabato da via Arenula, riguardano anche il massiccio ricorso ad assunzioni “a tempo” per rafforzare l’ufficio del processo e smaltire l’arretrato. Lo si dovrebbe fare, secondo il Cnf, col ricorso a “professionalità più elevate rispetto a quelle oggi previste”. Non perché si pretenda di costruire una giustizia degli ottimati. Ma perché anche specializzazione e competenza sono scelte con cui lo Stato mostra rispetto per la dignità della persona e per i suoi diritti.