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Il detenuto Ernesto Fazzalari
«“La tutela della salute di ogni detenuto costituisce un'assoluta priorità”, questo è il pensiero del ministro della Giustizia Carlo Nordio. E così, in effetti, dovrebbe essere perché il diritto alla salute, che discende dal più generale diritto alla dignità, è un bene fondamentale per l’uomo, ancor prima di quello retributivo, teso ad infliggere una sofferenza al reo quale compenso per il male commesso». Così dice al Dubbio l’avvocato Antonino Napoli, difensore di Ernesto Fazzalari. L’uomo, ex numero due dopo Matteo Messina Denaro, era tra i ricercati più pericolosi d’Italia ed è stato arrestato il 26 giugno 2016. Deve scontare 30 anni al 41 bis.
Al momento è detenuto presso il carcere di Parma ed è sottoposto a cicli di chemioterapia in quanto affetto da «adenocarcinoma duttale di tipo a cellule chiare: una forma di tumore al pancreas aggressiva e dalla prevedibile prognosi infausta. Il suo generale stato di salute - prosegue il legale - appare già molto compromesso, rilevandosi dall’analisi della cartella clinica la vascolarizzazione della neoplasia unitamente alla presenza di metastasi linfonodali».
L’ospedale civile di Parma «ha ritenuto che il suo tumore di cinque centimetri è inoperabile». Invece «noi abbiamo chiesto o il differimento pena, tra cui la detenzione domiciliare con l’autorizzazione per curarsi, o la collazione in detenzione ospedaliera presso i centri Irscc o altri specializzati per il tumore al pancreas, dove sono attuate anche metodiche sperimentali per operare anche quei tipi di tumore».
Al contrario «secondo i magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Bologna il mio assistito, fuori dal circuito carcerario, non potrebbe ricevere cure diverse o migliori di quelle praticate in regime detentivo attraverso il continuo monitoraggio effettuato dai sanitari e la ininterrotta vigilanza del personale di Polizia penitenziaria, in grado di allertare in qualunque momento l’ausilio medico occorrente».
In pratica la «mancata concessione del differimento di pena lede il diritto alla salute del condannato, nella misura in cui gli nega la facoltà di scegliere di curarsi presso la struttura sanitaria da lui ritenuta più conforme alle sue esigenze e alla sua specifica condizione individuale». Inoltre «non è seguito neanche da uno psicologo come dovrebbe». Ma l’aspetto «più grave» per l’avvocato Napoli «è che più volte ho chiesto per valutare la compatibilità con il regime carcerario e persino l’accesso in carcere la visita da parte di un consulente di parte. Stiamo parlando di un oncologo di Bologna, professore universitario, che nessun legame ha con il territorio da cui proviene Fazzalari, ossia la Calabria. Il magistrato di sorveglianza la prima volta ha rigettato l’istanza, perché non agganciata ad esempio ad un’altra di liberazione. Ripresento la richiesta insieme ad una istanza di concessione dei domiciliari o ospedalizzazione in un centro specifico. Il magistrato di sorveglianza mi risponde che non è di sua competenza ma del direttore del carcere. Presento istanza a quest’ultimo e la comunico anche al Dap ma da più di un mese nessuno mi risponde».
In conclusione, per l’avvocato «non vi è dubbio che una persona affetta da cancro non curabile può morire da solo in una cella in regime di 41 bis, lontano dall’affetto e dal sostegno dei propri cari, e che la chemioterapia può essere praticata in regime di day hospital ma questa impostazione culturale è insensibile e disumana, oltre che di tipo vendicativo».
Ma lo Stato «non accordandogli il diritto di sottoporsi a cure e trattamenti, anche sperimentali, praticati presso centri d’eccellenza si trasforma in un dispotico, feroce e insensibile Leviatano, che impone a un suo cittadino – in nome di una medievale concezione di giustizia retributiva, che rasenta la vendetta – una sofferenza che, varcando i confini dell’umana tollerabilità, diviene, eticamente e giuridicamente, inaccettabile e non condivisibile».