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Sono due i momenti più duri della vita in carcere: il periodo di agosto e quello natalizio. L’ estate produce situazioni di abbandono, soprattutto dove non c’è una presenza esterna organizzata come il volontariato, la sola che si adoperi affinché i detenuti possano trascorrere un po’ di tempo per rendersi occupati durante queste giornate torride. In inverno muori dal freddo. In estate muori e basta. Quindi niente bagni refrigeranti, niente sabbia sotto i piedi, nemmeno un semplice ventilatore, ma, per chi vuole, sole a degli orari assurdi, “perfetti” per un’insolazione da ospedale. Lo sa bene l’ex ergastolano e scrittore Carmelo Musumeci che in un suo recente articolo pubblicato su Ristretti orizzonti ha scritto: “Quando ero detenuto, ricordo che d’estate l’afa mi faceva aumentare l’ansia e l’angoscia: dormivo di meno, ed era peggio, perché di notte la nostalgia e il desiderio di libertà si fanno più forti”. Lo sanno bene gli esponenti del Partito Radicale che hanno organizzato, assieme alle Camere penali, le visite di ferragosto in quasi tutte le carceri. Un’occasione per monitorare le condizioni di vita in penitenziari spesso sovraffollati e invivibili, ma anche per dare conforto a persone che stanno scontando la propria pena.
Ma ricorre anche un anniversario particolare. Esattamente un anno fa, ad agosto, il Consiglio dei ministri del governo gialloverde ha approvato l’ennesima versione della riforma dell’ordinamento penitenziario, di fatto tagliando fuori i decreti principali della riforma penitenziaria originale portata avanti dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando. La riforma originale, finalmente orientata verso la risocializzazione delle persone recluse, la giustizia riparativa, l’implementazione delle pene alternative e il diritto all’affettività, era il risultato di un lavoro portato avanti da una squadra di giuristi guidata da Glauco Giostra, notoriamente sensibile alle reali criticità e mancanze degli istituti penitenziari italiani. Il nuovo esecutivo, invece, ha ritenuto opportuno intervenire con una revisione e riscrittura del testo, in modo da tenere conto delle indicazioni espresse dal nuovo Parlamento. Ma se l’estate scorsa è stata, di fatto, la perdita della speranza, anche quella precedente – nel 2017 aveva deluso le aspettative di chi aveva acceso i riflettori su una diversa idea di pena e di sicurezza. Era stato l’ex ministro Orlando che a promettere ai microfoni di Radio Radicale che la delega sull’ordinamento penitenziario sarebbe stata attuata subito e entro agosto, cosa che puntualmente non si verificò.
Il venticello del populismo penale tirava già fortemente. Il governo di Renzi, e dopo il rimpasto, quello di Gentiloni, non ha opposto resistenza alle polemiche della Lega e del Movimento 5 Stelle: entrambi hanno da sempre cavalcato l’idea carcerocentrica della società. Ad agosto, quello del 2017, la riforma non venne approvata subito. Così come, quando mancò l’ultimo traguardo, il governo Gentiloni preferì non approvare la riforma e lasciare la palla al nuovo governo. L’estate scorsa è morta così definitivamente la speranza. Ora rimane solamente la delusione dei detenuti e i loro familiari che – come disse il garante nazionale Mauro Palma – stavano aspettando Godot.