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Maria Masi
La grande crisi umanitaria ancora prima che politica che sta vivendo l'Afghanistan in questo tempo ha, con un grande impatto, riproposto al mondo una realtà che non si può ignorare e che non può lasciare indifferenti. Non è necessario, anche se sarebbe certamente utile per una migliore comprensione, approfondire le dinamiche che hanno provocato la situazione attuale il quale vede coinvolti migliaia di civili vanamente impegnati ad opporre resistenza al rinnovato sistema che, al di la delle dichiarate rassicurazioni circa l'assolvimento degli impegni contenuti negli accordi di cooperazione internazionali, pongono inquietanti interrogativi. Cosa ne sarà, ad esempio, delle conquiste in tema di riconoscimento e valorizzazione dei diritti umani faticosamente maturati nel difficile contesto degli esiti di un conflitto che per decenni, ha lacerato il Paese. Tra le "faticate conquiste" che oggi rischiano di essere vanificate vi è certamente l'investimento embrionale nel talento e nel potenziale delle donne afgane, protagoniste coraggiose della promozione della giustizia nel loro Paese. In questo percorso lungo e difficile, l'emancipazione delle donne afgane è stata immaginata sia come strumento che come meta e auspicata come indispensabile per la crescita del Paese e per la realizzazione di un sistema adeguato e sostenibile. Dai rapporti e dalle relazioni realizzati e acquisiti dagli osservatori internazionali emergono tutte le grandi difficoltà che in particolare le donne hanno dovuto affrontare e superare per accedere alle libere professioni e alla vita pubblica. Ancora maggiori e numerose sono state le difficoltà per le donne per poter accedere al sistema giustizia che, inizialmente, vedeva numeri veramente esigui di donne funzionarie amministrative, magistrate o avvocate. Eppure qualcosa in questi lunghi anni era cambiato, forse per una maturanda consapevolezza che il ruolo delle donne era ed è fondamentale per la promozione di azioni volte a rimuovere ostacoli all'accesso alla giustizia, alla promozione dei diritti umani e all'uguaglianza. Tale percorso oggi è interrotto e potrebbe essere cancellato ma ciò che conforta è che c'è diffusa e piena consapevolezza del grande rischio che oggi corrono non solo le donne, le professioniste, le intellettuali, le magistrate e le avvocate afgane ma finalmente si comincia a comprendere che qualsiasi atto contro una donna, posto in essere a qualsiasi latitudine o contesto, in nome di una (in)cultura fondata sulla/e discriminazione/i di genere è un atto contro la democrazia. Forti di questa consapevolezza e del fatto che spetterà soprattutto agli avvocati e alle avvocate afgane resistere per esistere e difendere il diritto di donne, bambini e di ogni minoranza, il Cnf e l' avvocatura istituzionale, con l'ausilio delle commissioni consiliari di riferimento, si impegna a fare rete, recependo e veicolando anche le iniziative dei coa, dei cpo, delle associazioni e dei singoli avvocati e avvocate che numerosi in queste ore stanno mettendo a disposizione passione e competenza. Il tutto realizzando iniziative, alcune già in corso, per la salvaguardia dei diritti delle categorie a rischio nonché sollecitando le autorità competenti affinché venga attuata un'adeguata attività di monitoraggio sul rispetto delle convenzioni internazionali e, in sinergia con il Consiglio degli ordini forensi europei (Ccbe) e l'Osservatorio internazionale avvocati in pericolo (Oiad), promuovendo azioni umanitarie finalizzate a conferire aiuti concreti e sostegno mirato a realizzare condizioni ambientali di sicurezza.