La privazione dell’affettività e della sessualità in carcere è una punizione invisibile. E per le donne il legame con i figli e con i congiunti e il rapporto affettivo che le stesse vogliono mantenere è ancora più complesso che per i detenuti uomini. In un contesto in cui i fondi destinati al sistema penitenziario italiano sono scarsi, le risorse per le esigenze delle detenute, compreso il diritto alla sessualità, sono estremamente limitate.

La pronuncia della Corte Costituzione n. 10/2024 ha dichiarato illegittimo l’art. 18 O.P. nella parte in cui non prevede per la persona detenuta colloqui privati con il proprio partner aprendo la strada ad alcune isolate iniziative positive. La strada da percorrere è ancora lunga e la negazione di questi diritti, che è poi negazione del diritto alla salute, è ancora la prassi nelle carceri italiane. È passato più di un anno dalla pronuncia della Consulta e al momento dal governo non è arrivato nessun provvedimento concreto.

Soltanto il carcere “Due Palazzi” di Padova ha preannunciato una sperimentazione per permettere incontri privati tra detenuti e partner. Il progetto ipotizzava l’installazione dei container nel cortile del carcere, dove le persone detenute potessero passare del tempo con i propri familiari – genitori, partner, figli – esercitando il loro diritto all’affettività e alla sessualità. Tuttavia il progetto è stato bloccato perché il Governo ha precisato che “iniziative di questo tipo” spettano al DAP.

Per rendere effettivo il diritto alla sessualità, è intervenuta la magistratura di sorveglianza con alcune ordinanze con le quali si è concesso il permesso di avere incontri intimi con le proprie partner, dopo che gli istituti penitenziari glielo avevano negato. Ma per quanto riguarda la detenzione femminile, la sessualità delle donne viene concepita unicamente in relazione alla maternità. Ne è prova l’istituzione dentro il carcere di Rebibbia del M.A.M.A. (Modulo per l’affettività e la maternità), un piccolo appartamento privato utilizzato per gli incontri tra madri e figli.

All’estero accanto a tali spazi sono stati affiancati momenti di intimità anche a carattere sessuale, luoghi in cui le detenute possono ricevere privatamente il compagno, la compagna o l’intera famiglia per periodi che vanno alle 6 alle 72 ore e vivere monti di condivisione privata senza il controllo visivo della polizia penitenziaria.

Un ulteriore problema si pone in merito ai luoghi in cui il diritto all’affettività viene esercitato tra mamme detenute e figli. È nota la recente chiusura dell’ICAM di Lauro, l’unico istituto a custodia attenuata del centro Sud. Le due donne con figli al seguito che erano ospitati al suo interno sono state trasferite in una sezione speciale degli istituti ordinari di Milano e Venezia, con il conseguente allontanamento dal territorio in cui i figli erano cresciuti, avevano frequentato la scuola e coltivato amicizie. Si è creato così l’ennesimo abuso, quello al diritto all’infanzia.

Senza considerare che il ddl Sicurezza in discussione al Senato ha creato o aggravato decine di reati e circostanze aggravanti e punta a rendere facoltativo e non obbligatorio il differimento della pena per le donne incinte o con figli minori di un anno, portando i magistrati a scegliere con maggiore frequenza l’assegnazione ad un ICAM, dal momento che attualmente esistono solo due case famiglia protette per l’accoglienza di madri e bambini.