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Affettività in carcere
È la seconda volta, nel giro di pochi mesi, che un magistrato di sorveglianza costringe un carcere italiano a inchinarsi alla Costituzione. Dopo il caso di Terni, grazie all’ordinanza del magistrato Fabio Gianfilippi, tocca ora al carcere di Parma. Con l’ordinanza n. 2025/ 383, depositata il 10 febbraio scorso, il magistrato di Sorveglianza Elena Bianchi di Reggio Emilia, accoglie il reclamo di un detenuto del circuito di Alta sicurezza – condannato in via definitiva per reati di stampo mafioso, quindi ostativo – ordinando alla Direzione del penitenziario di predisporre entro 60 giorni spazi idonei per colloqui intimi con la moglie.
Il detenuto, che sconta una pena con fine previsto al 23 novembre 2026, aveva presentato la prima richiesta il 4 marzo 2024, invocando la sentenza n. 10/ 2024 della Corte costituzionale, che dal gennaio 2024 ha riconosciuto il diritto all’affettività intramuraria. La direzione di Parma, però, aveva risposto con un secco “no”, giustificandosi con l’assenza di locali adatti e l’attesa di “determinazioni dagli uffici superiori”. Una risposta identica a quella ricevuta dal detenuto di Terni, e altrettanto inaccettabile per la magistratura di sorveglianza.
A cambiare le carte in tavola è stato il lavoro meticoloso dell’avvocata penalista Pina Di Credico, che ha presentato un reclamo articolato al magistrato di Sorveglianza, evidenziando due profili chiave. In primo luogo, ha evidenziato “l’assenza totale di ostacoli specifici”: il detenuto non si trova sotto regimi speciali come il 41- bis o il 14- bis, la sua condotta è esemplare, senza alcuna sanzione disciplinare a suo carico, ha preso distanza dal contesto criminale di appartenenza e lavora regolarmente, contribuendo anche con fondi per le vittime di mafia. Inoltre, i colloqui visivi con la moglie, già autorizzati, si svolgono senza alcuna restrizione.
Dall’altro lato, Pina Di Credico ha denunciato l’“inerzia della Direzione”, evidenziando che, nonostante otto lunghi mesi di attesa, il carcere non aveva nemmeno avviato sopralluoghi per individuare spazi idonei, né aveva fornito tempistiche per il futuro.
Il magistrato di Sorveglianza, acquisiti rapporti dell’equipe trattamentale e note della Direzione, ha confermato ogni dettaglio: «Non esiste alcun elemento ostativo», si legge nell’ordinanza. Sostanzialmente emerge che il diniego è immotivato e - scrive il magistrato di sorveglianza “il reclamo deve, pertanto, essere accolto, poiché dal rigetto della Direzione della Casa di reclusione di Parma deriva al detenuto un grave e attuale pregiudizio all’esercizio del diritto all’affettività, nella sua espressione attraverso colloqui intimi con la propria moglie».
LA SENTENZA DELLA CONSULTA NON È UN OPTIONAL
Il cuore della decisione riprende in modo stringente la sentenza n. 10/ 2024 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 18 della legge 354/ 1975, aprendo alla possibilità di colloqui intimi senza controllo visivo per detenuti con coniugi o conviventi stabili. La Consulta aveva però avvertito: servono spazi riservati, anche temporanei, e verifiche sul comportamento del detenuto. Proprio su quest’ultimo punto, la direzione di Parma è stata colta in fallo. Come ha evidenziato l’avvocata Di Credito, non hanno nemmeno verificato se il detenuto avesse precedenti disciplinari. Hanno semplicemente ripetuto, come un disco rotto, di attendere istruzioni. Un approccio, quindi, inammissibile soprattutto – come si legge nell’ordinanza - alla luce della recente Cassazione ( sentenza n. 8/ 2024), che ha ribadito come i colloqui intimi siano un diritto primario, negabile solo per concrete ragioni di sicurezza.
L’ordinanza è chiara e diretta, non lascia spazio a fraintendimenti. Entro sessanta giorni, la Casa di reclusione di Parma è chiamata a individuare locali adeguati per i colloqui intimi, assicurando che questi avvengano in un contesto di riservatezza totale e senza alcun tipo di controllo visivo. Si apre, però, anche la possibilità di soluzioni temporanee, attraverso il riadattamento delle stanze già esistenti per rispettare le garanzie minime di riservatezza. Inoltre, l’istituto ha l’obbligo di comunicare all’Ufficio di Sorveglianza la conferma dell’avvenuta esecuzione di quanto stabilito, sottolineando così l’importanza di rispettare le scadenze e le disposizioni impartite.
Quello di Parma non è un episodio isolato. Come già accaduto a Terni, molte carceri italiane stanno opponendo resistenze passive, lamentando carenze strutturali o fondi insufficienti. La differenza, ora, la fanno i magistrati di sorveglianza che trasformano le sentenze in prescrizioni concrete. detenuti non sono numeri: hanno diritto a mantenere legami affettivi, fondamentali per il reinserimento. Una posizione condivisa dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 10/ 2024 ha parlato di “volto umano della pena”, incompatibile con la negazione dell’amore.
DOPO UN ANNO, ANCORA INERZIA DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
In un recente comunicato, l’Osservatorio carcere dell’Unione Camere Penali esprime una crescente preoccupazione per l’inerzia che caratterizza l’operato del ministero della Giustizia. La pronuncia della Corte costituzionale del 28 gennaio 2024, accolta con entusiasmo, aveva rappresentato una svolta fondamentale nel riconoscimento dei diritti dei detenuti, in particolare per quanto riguarda i colloqui intimi privi di controlli visivi. Tuttavia, a distanza di oltre dodici mesi, il silenzio e l'assenza di azioni concrete da parte delle autorità competenti sollevano interrogativi inquietanti.
Il contesto carcerario italiano continua a essere segnato da una serie di problematiche gravi, come il sovraffollamento e il deterioramento delle condizioni di vita, eppure, nonostante l’importanza della sentenza, l’Amministrazione penitenziaria sembra muoversi con una lentezza inaccettabile.
L’Osservatorio carcere sottolinea che, mentre la Corte ha fornito indicazioni operative chiare e dettagliate per garantire l’effettività del diritto all’affettività, l'attuazione pratica di tali diritti è rimasta un miraggio. Le promesse di un gruppo di lavoro istituito dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria non hanno ancora prodotto risultati tangibili. Non ci sono state comunicazioni chiare riguardo alle risorse da impiegare, né indicazioni sui tempi previsti per l’avvio di sperimentazioni significative. Quest’assenza di direzione ha portato a una paralisi a livello locale, dove iniziative potenzialmente positive, come quella della Direzione del carcere di Padova, sono state congelate, lasciando i detenuti privi di opportunità per esercitare i loro diritti.
La situazione è diventata paradossale, con un evidente rimpallo di responsabilità tra le direzioni e il Dap. In questo contesto, l’Osservatorio carcere ha denunciato episodi in cui il diritto all’affettività è stato degradato a mera aspettativa legittima, contraddicendo il riconoscimento giuridico espresso dalla Corte. L’avvocatura si oppone a questa distorsione, affermando che il riconoscimento dei diritti dei detenuti non può dipendere dalla disponibilità dell’Amministrazione a implementarli. È fondamentale che le istituzioni agiscano con urgenza, avviando un piano d’azione chiaro e collaborativo, in modo da garantire il rispetto della dignità umana all'interno delle carceri. In questo momento critico, l’osservatorio lancia un appello accorato a tutte le istituzioni affinché si adeguino senza indugi alla sentenza della Corte costituzionale.
Nel frattempo, per il detenuto di Parma e sua moglie, dopo un anno di battaglie legali intrapresa dall’avvocata Di Credico, si apre finalmente la speranza di abbracciarsi in un ambiente privato. Un diritto minuscolo, ma enorme nel suo significato: persino tra le sbarre, la dignità umana non può essere sospesa.