A quasi un anno dalla storica sentenza della Corte costituzionale che ha garantito ai detenuti il diritto a colloqui intimi riservati, il Dap continua a far orecchie da mercante. Il Garante per il Lazio, Stefano Anastasìa, denuncia l’assurda situazione, definendola “inconcepibile” per uno Stato di diritto. La sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024 aveva spalancato le porte ai colloqui riservati, ma a dieci mesi di distanza, secondo Anastasìa, «nessun detenuto ha ancora potuto usufruire di questo diritto».

Il caso di Viterbo è la punta dell'iceberg: 102 detenuti, come riportato da Il Dubbio, attendono da oltre 90 giorni una risposta alla loro richiesta di colloqui riservati, presentata il 2 giugno 2024. Di fronte a questo immobilismo, il Garante Anastasìa è intervenuto con urgenza, sollecitando la direzione del carcere ad agire immediatamente. È necessario che vengano individuati al più presto spazi idonei ai colloqui riservati e che venga definita una nuova regolamentazione dell'accesso all'istituto.

Anastasìa punta il dito contro il Dap, che avrebbe bloccato le iniziative di alcune direzioni carcerarie pronte ad attuare la sentenza. Il motivo? L'attesa degli esiti di un “misterioso gruppo di studio ministeriale”. Una giustificazione che il Garante ritiene inaccettabile, sottolineando come in alcuni istituti basterebbe «oscurare le finestrelle sulle porte delle stanze dei colloqui con i gruppi familiari» per garantire la riservatezza degli incontri. Il caso solleva interrogativi inquietanti sul rispetto delle sentenze della Corte costituzionale da parte delle istituzioni. Anastasìa ipotizza che al Dap possa ancora vigere «l'interdetto dei più retrivi sindacati di polizia penitenziaria che nel 2018 impedì al ministro Orlando di anticipare il pronunciamento della Corte costituzionale».

La vicenda potrebbe avere ripercussioni legali: i detenuti, dopo i reclami ai garanti, potranno rivolgersi ai magistrati e ai tribunali di sorveglianza, fino ad arrivare alla Corte europea dei diritti umani. «E noi saremo con loro», assicura Anastasìa. Il caso di Viterbo non è isolato. Situazioni analoghe si sono verificate in altri istituti, come la Casa di reclusione di Rebibbia, dove 55 detenuti hanno presentato un reclamo collettivo. In quell'occasione, Anastasìa e la collega di Roma Capitale, Valentina Calderone, avevano indirizzato una raccomandazione analoga alla direttrice dell'istituto nel settembre scorso.

La mancata attuazione della sentenza non solo viola i diritti dei detenuti, ma mina la credibilità stessa delle istituzioni democratiche. Come sottolinea il Garante, «l'attuazione della sentenza della Corte costituzionale non è procrastinabile» e «configura un obbligo di garanzia in capo all'Amministrazione penitenziaria». Resta da vedere se e quando lo Stato deciderà di rispettare le proprie leggi, anche dentro le mura del carcere. Nel frattempo, centinaia di detenuti attendono di poter esercitare un diritto che la Corte costituzionale ha riconosciuto loro 10 mesi fa, in un limbo di attesa che sembra non avere fine.