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Il momento per capire se la “pregiudiziale Palamara” sia caduta o meno per il procuratore generale di Firenze Marcello Viola è arrivato. Il 6 aprile, infatti, il plenum del Csm si riunirà per decidere la nomina del nuovo procuratore di Milano, nomina che arriva nel pieno dell’ennesima tempesta all’interno della procura meneghina, devastata dai veleni del caso Amara e dai malumori interni all’ufficio.
Sulla scrivania dei consiglieri di Palazzo dei Marescialli un corposo faldone da 550 pagine, nelle quali sono riassunte le motivazioni a sostegno delle candidature di Viola (che ha incassato due voti in commissione), del procuratore di Bologna Giuseppe Amato e del procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli. A sponsorizzare la nomina del pg di Firenze, uscito sconfitto dal confronto (questa volta alla pari) con Francesco Lo Voi a Roma, sarà il consigliere Antonio D’Amato, di Magistratura Indipendente, che ha votato per lui assieme al togato Sebastiano Ardita.
A sostenere la nomina di Amato, invece, sarà la toga di Unicost Michele Ciambellini, mentre a perorare la causa dell’unico candidato interno, in continuità dunque con l’ex procuratore Francesco Greco, sarà la collega di Area Alessandra Dal Moro. Viola potrà contare quasi per certo sui quattro voti di MI portati in dote da D’Amato, più quello di Ardita e, con ogni probabilità, quello di Nino Di Matteo, che si è espresso a suo favore anche in occasione della nomina capitolina. Tre i voti sicuri di Unicost in plenum, mentre Area può contare su cinque consiglieri.
Ma la discussione servirà, soprattutto, a chiarire se la vicenda dell’Hotel Champagne pesi ancora più del curriculum del pg di Firenze, il cui nome era stato “prescelto” a sua insaputa come successore alla guida della procura di Roma, anche in un’ottica di discontinuità con l’era Pignatone. La scelta della V Commissione, all’epoca, fu annullata e successivamente a vincere la corsa a Piazzale Clodio fu Michele Prestipino, nomina poi giudicata illegittima.
Viola, dunque, fu ingiustamente danneggiato da una vicenda nella quale non c’entrava nulla. La pratica Milano non è neutra. E non solo perché si tratta della seconda procura più importante d’Italia, ma anche perché Viola è in corsa contemporaneamente per la guida della Direzione nazionale antimafia e per quella della procura di Palermo. Nel faldone ora in mano ai consiglieri, tre curriculum di massimo rispetto. Ma quello di Viola, secondo D’Amato, prevarrebbe sugli altri per «la completezza dell’esperienza direttiva in uffici requirenti di primo e secondo grado – funzioni direttive svolte interrottamente, con eccellenti risultati, sin dal dicembre del 2011 –, nonché nell’ampia, completa e prolungata esperienza giurisdizionale maturata dal magistrato nel settore penale e nelle particolari competenze in materia di criminalità organizzata». E vincerebbe su Amato in quanto quest’ultimo vanterebbe un «percorso professionale sviluppato – esclusivamente - nelle funzioni requirenti in diversi uffici con plurime esperienze direttive, associato a importanti esperienze fuori ruolo di natura ordinamentale».
Viola, dunque, «ha pertanto avuto modo di misurarsi, sul piano gestionale, con esigenze funzionali ed organizzative ampiamente diverse tra loro», situazione «che concorre a connotare di rara completezza la sua esperienza direttiva in ambito requirente». La comparazione con Romanelli arriva pure alla stessa conclusione: «Pur a fronte della pregevole esperienza - sostiene D’Amato -, non appaiono ravvisabili nel suo percorso professionale esperienze peculiari» che gli consentirebbero di scavalcare l’esperienza di Viola. Insomma, come nel caso di Prestipino, la funzione di procuratore pesa di più di quella di aggiunto e nulla può il radicamento territoriale.
Di parere diverso gli altri due relatori: secondo Ciambellini, infatti, Amato prevarrebbe su Viola in quanto a capo «di un ufficio di primo grado distrettuale e di grandi dimensioni quale la procura di Bologna», omologo alla procura di Milano e di sicuro più grande di Trapani «ufficio non distrettuale» guidato in passato da Viola. Le funzioni direttive di secondo grado, inoltre, non avrebbero peso, «tenuto conto dell'ufficio oggetto di concorso, di primo grado e di grandi dimensioni». Per Dal Moro, infine, apparirebbe «più robusta e completa» l’esperienza in ambito organizzativo e di coordinamento dell’attività requirente maturata Romanelli «che, pur non avendo ricoperto un incarico direttivo, ha esercitato complessivamente, per oltre nove anni, funzioni semidirettive», idonee ad attestare «in misura addirittura prevalente il profilo attitudinale dell’aspirante». Che a livello distrettuale, «ha contemporaneamente coordinato un dipartimento di 11 sostituti e una sezione con 4 sostituti ( rispettivamente il “II Dipartimento pubblica amministrazione e diritto penale dell’economia” e la “sezione esecuzione” della procura di Milano) ovvero, a livello nazionale, una sezione di ben 22 sostituti ( la sezione antiterrorismo della Dnaa di cui all’epoca facevano parte tutti i sostituti in servizio), a fronte dell’altro aspirante che, in I grado, ha diretto un ufficio di 11 sostituti», in una realtà assai diversa da quella di Milano. Ed è proprio Dal Moro a tirare fuori la pregiudiziale Palamara nella sua relazione: «L’immagine di indipendenza» di Viola, secondo la togata di Area, «è risultata obiettivamente appannata, a prescindere da responsabilità o colpa dell’interessato, per effetto della nota vicenda relativa alla nomina del Procuratore di Roma, oggetto, come noto, di un grave tentativo di condizionamento dell’attività del Consiglio che ha portato alle dimissioni di alcuni consiglieri e ad alcune sentenze di condanna in sede disciplinare».