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Sette anni e undici mesi. È una pena durissima quella chiesta ieri dal pm Michele Permunian per Domenico Lucano, ex sindaco di Riace, a processo a Locri per la gestione dell’accoglienza nel piccolo paesino della Locride, diventato modello per tutto il mondo. Un modello che però non ha convinto la procura di Locri, sicura che dietro l’altruismo dell’ex sindaco si nascondesse un tornaconto politico. Complessivamente la richiesta di condanna ammonta a 75 anni di reclusione per le 27 persone coinvolte, tre le richieste di assoluzione. Lucano è imputato, insieme ad altri, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e truffa in relazione ai progetti di accoglienza agli immigrati nel piccolo comune della Locride. Secondo il pm, l’ex sindaco sarebbe stato il «dominus assoluto» dell’accoglienza, consapevole «di trasgredire le regole». Il tutto anche per «interessi di natura politica». In particolare, tramite le associazioni e l’assunzione diretta di personale, sarebbe stato infatti in grado di «distribuire lavoro o, meglio, sostegni economici». Secondo la tesi accusatoria sarebbero state diverse le persone che avrebbero percepito uno stipendio dalle associazioni pur senza lavorare, cosa mai denunciata dall’ex sindaco, in quanto «quelle assunzioni rappresentano voti che ritorneranno in sede elettorale. Tanto che in una intercettazione significativa vengono addirittura contati i voti in base alle famiglie di riferimento». Ed è per questo motivo che la procura aveva anche contestato la candidatura di Lucano alle prossime regionali in Calabria come “prova” del suo interesse politico. Secondo il procuratore Luigi D'Alessio, inoltre, «il denaro a Riace è arrivato in quantità ma ai migranti sono finite le briciole». E il capo della procura di Locri ci ha tenuto a precisare che non si tratta di un processo «all’ideale nobile dell’accoglienza» al contrario le accuse sono tutte rivolte alla «mala gestione che ha penalizzato proprio i migranti andando a favorire clientele con le associazioni che beneficiavano dei finanziamenti». Per la procura regge anche l'accusa di associazione a delinquere, pure fortemente contestata dal gip, secondo cui l'ipotesi dell'accusa sarebbe stata priva di fondamento. Ma oggi in aula Permunian ha descritto al collegio giudicante una struttura organizzata per utilizzare «tutti i possibili sistemi e schemi illeciti per massimizzare la percezione dei fondi pubblici connessi ai progetti Spar (e Msna) e Cas; da qui le false prestazioni occasionali/le false fatture, in altri termini l’artificiosa lievitazione dei costi». Così come reggerebbe quella di concussione, subito bollata dal giudice che aveva imposto i domiciliari per "Mimmo il curdo" come «insussistente»: Lucano e Fernando Capone, presidente dell’associazione “Città Futura”, secondo la Procura avrebbero abusato della propria posizione per costringere il titolare di un esercizio commerciale a predisporre e consegnare fatture false per 5mila euro. Ma «gli inquirenti - scriveva il gip - non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l’ipotesi investigativa», fidandosi delle parole del commerciante - che avrebbe dovuto essere ascoltato in presenza di avvocato, in quanto indagato -, le cui dichiarazioni non sono mai state dimostrate. Una «persona tutt’altro che attendibile», sentenziava il giudice. Che eliminava anche dubbi sulla malversazione: i soldi dell’accoglienza, non sarebbero stati usati per «soddisfare interessi diversi da quelli per i quali erano corrisposti». Una tesi «non persuasiva, poiché congetturale».