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Dal punto di vista della Lega è un gran successo. La legge che abolisce il rito abbreviato per i reati da ergastolo ottiene il via libera definitivo al Senato a soli quattro giorni dal sì alla legittima difesa: un “uno- due” sulla giustizia da albo d’oro delle vittorie. Ma il voto di ieri a Palazzo Madama ( 168 sì, 48 no e 43 astenuti) crea anche una pesante incognita per la riforma complessiva del processo penale. Sparisce infatti la possibilità di ricorrere a un cruciale strumento deflattivo qual è appunto l’abbreviato, in quei processi che richiedono i maggiori sforzi alla macchina della giustizia. I reati per i quali non sarà più possibile il rito alternativo, compresi molti casi di omicidio, vengono assegnati alle Corti d’assise, che in futuro rischiano di trovarsi letteralmente sovraccariche. E da questo punto di vista la nuova legge va in una direzione diametralmente opposta a quella indicata da avvocatura e Anm al “tavolo” sul penale aperto a via Arenula. Istituzioni e associazioni forensi, in primis l’Unione Camere penali, avevano trovato un’intesa col “sindacato” dei giudici per convincere il guardasigilli Bonafede a ridurre i tempi dei processi con una precisa strategia: rendere più appetibili i riti alternativi, rafforzare i poteri del gup e depenalizzare. Il primo dei tre punti è decisivo: ma è clamorosamente sconfessato proprio dal voto di ieri, che spazza via l’abbreviato per i reati gravi.
OSTELLARI: LEGGE ATTESA DAI CITTADINI
Sul provvedimento d’altra parte non s’è mai intravista alcuna esitazione della maggioranza. Né sul fronte Lega, da cui è partita la proposta già nella scorsa legislatura, a prima firma Nicola Molteni, né su quello dei cinquestelle. E anzi, con la “riforma” dell’abbreviato si realizza un ulteriore asimmetria in Parlamento: tra i voti favorevoli incassati ieri in aula, infatti, ci sono anche quelli di Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia si schiera contro. Uno schema ancora nuovo rispetto a quello della legittima difesa, che ha visto il “vecchio” centrodestra compatto e l’M5s adeguarsi per coerenza al “contratto” più che per convinzione. La distanza tra gli uomini di Salvini e quelli del Cavaliere si intreccia con la nuova, netta divaricazione della Lega dalle indicazioni dell’avvocatura. Eppure il relatore della legge approvata ieri, il leghista Andrea Ostellari, si era trovato di recente a condividere quanto meno il «principio» della separazione delle carriere, col suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Ucpi. «Ma noi non possiamo pensare di subordinare al consenso degli avvocati le nostre scelte in campo penale», dice, interpellato dal Dubbio, Ostellari, che a Palazzo Madama presiede la commissione Giustizia. «L’avvocatura ragiona secondo il proprio rispettabile punto di vista e con la capacità di ben argomentare le posizioni, noi dobbiamo dar conto a tanti comuni cittadini che non vogliono veder tornare liberi gli autori di reati gravissimi».
GLI EFFETTI: VIA GLI SCONTI DI PENA
E in effetti le conseguenze pratiche del provvedimento sono tutte annunciate all’articolo 1 ( il testo è in soli 5 articoli) che introduce un comma 1- bis all’articolo 438 del codice di procedura penale, in base al quale «non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo». Il resto sono adattamenti ai vari casi in cui il giudice dà una definizione giuridica del fatto tale da ammettere, anche a fine dibattimento, lo sconto di pena. La ricaduta concreta della nuova legge riguarda proprio le riduzioni delle condanne: chi è accusato di reati che prevedono anche il carcere a vita non potranno ottenere lo sconto di un terzo della pena o, come prevedeva l’ormai menomato secondo comma dell’articolo 442, la riduzione dall’ergastolo a trent’anni ( o da ergastolo con 6 mesi di isolamento a ergastolo senza isolamento).
CAIAZZA: «PARALISI NELLE CORTI D’ASSISE»
«Vorrà dire che si avrà il collasso nelle Corti d’assise», fa notare Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali. «Nei procedimenti per quel tipo di reati, con la ormai vecchia disciplina, gli imputati optavano per l’abbreviato in quasi l’ 80 per cento dei casi. A valutare il fatto era dunque un singolo giudice dell’udienza preliminare, che riusciva a chiudere la pratica nel giro da 3 o 4 mesi. Solo una quota marginale di fascicoli finiva a dibattimento, fase in cui la competenza per simili processi è delle Corti d’assise: si riunisce cioè una giuria popolare che completa il collegio col presidente e l’altro togato. Ci si mette almeno un paio d’anni. E assisteremo così alla paralisi delle Corti d’assise».
Si parla di un migliaio di processi ogni due anni, oggi risolti in modo rapido e d’ora in poi destinati ai tempi del rito ordinario. Lo aveva segnalato anche il Csm con un parere piuttosto critico approvato a inizio febbraio, a larga maggioranza del plenum. Vi si faceva notare che, visti i tempi dei processi in Corte d’assise, si rischia di arrivare alla scadenza dei termini di custodia cautelare prima della sentenza, con l’effetto paradossale di un minor “rigore” provocato proprio da una riforma ispirata alla massima severità. «Di certo si può dire che la macchina del andrà molto più lenta proprio nel definire i processi dal cosiddetto maggiore allarme sociale», osserva Caiazza. Lo aveva detto anche il Csm. Ma non è servito a far cambiare idea alla maggioranza.