Altro che colpa dei minori stranieri: se gli istituti penali minorili esplodono è per “merito” del decreto Caivano. Che ha reso possibile far finire negli Ipm anche ragazzini colpevoli di aver rubato una bicicletta, trasformando gli istituti in depositi di minorenni pronti a scoppiare. Ad essere convinto che il sovraffollamento sia colpa «dell’enorme aumento» di minori stranieri non accompagnati è il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Un’affermazione che si scontra contro le dichiarazioni del partito di Giorgia Meloni - recentissima quella secondo cui «grazie al governo sbarchi diminuiti del 60 per cento» - ma anche con le fotografie che arrivano dai singoli Ipm. Come quello di Treviso, giusto per fare un esempio, il più in difficoltà per sovraffollamento, con 23 presenze su 12 posti disponibili. E in questo caso, solo due delle persone presenti sono straniere. L’istituto, dunque, sta per scoppiare, tanto da render quasi necessaria la sua chiusura, fino al ritorno ad una situazione normale. Una soluzione, quest’ultima, non del tutto peregrina, stando a quanto emerge dagli ambienti vicini all’Ipm.

L’aumento dei minori in carcere, statistiche alla mano, è scattato successivamente all’approvazione del decreto Caivano, come spiegato davanti alla Commissione Bicamerale per i minori da Antonio Sangermano, a capo del dipartimento per la Giustizia minorile del ministero. «Dall’entrata in vigore del decreto Caivano, relativamente a ingressi e presenza media giornaliera, il numero è obiettivamente cresciuto, non può e non deve essere negato», ha sottolineato, aggiungendo solo secondariamente che i dati «vanno connessi anche ad altri fattori causali, come l’aggravarsi delle devianze minorili e l’enorme aumento di stranieri minori non accompagnati».

Il decreto ha, infatti, «abbassato i limiti edittali della richiesta di misure cautelari custodiali nel collocamento in comunità» e «aumentato le fattispecie che consentono l’arresto sempre facoltativo in flagranza. Il combinato disposto di questi elementi, unito all’eliminazione del termine di un mese per l’aggravamento della violazione della misura cautelare del collocamento in comunità, con conseguente collocamento della presenza negli Istituti penali per minorenni, ha oggettivamente prodotto un possibile incremento degli ingressi e delle presenze in Ipm», aveva chiarito Sangermano.

Giustizia

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La pressione sugli istituti minorili è, dunque, innegabile. E a Treviso, le stanze che prima ospitavano una sola persona, stando a quanto emerge, sono state attrezzate con due letti, mentre nelle stanze per tre persone se ne ospitano cinque. E alcuni ragazzi, come in altri Ipm sovraffollati, dormono con il materasso a terra per materiale assenza di letti. Una situazione nota ai vertici della giustizia minorile, consapevoli delle ristrettezze di spazio, che si traducono in condizioni igieniche non appropriate. Il tutto senza che ci siano misure per lo “svuotamento”: il decreto Caivano, infatti, non ha previsto un meccanismo in uscita.

I minori stranieri, in questo caso, non c’entrano e sono gli stessi addetti ai lavori del circondario a confermarlo: nelle province di Padova, Verona, Udine e Trieste sono infatti aumentati i reati di rissa, i tentati omicidi e anche le aggressioni in famiglia, sintomi di un disagio giovanile ormai slatentizzato e del tutto italianissimo. E molto spesso, le condizioni inumane in carcere si traducono in violenza, come dimostrato dalle tristissime vicende del carcere Beccaria di Milano. Proprio dopo quelle vicende, il direttore dell’Ipm di Treviso Girolamo Monaco aveva scritto una bellissima lettera all’Huffington Post. «Io non posso nascondere che la violenza fisica, psicologica, relazionale e gestionale degli individui dentro le strutture ( la violenza di chi sta dalla parte del giusto e la violenza di chi sta dalla parte del torto) è normalizzata dai vuoti di presenza, di compagnia, sostegno, indirizzo, supporto e guida ( tutto quello che è il vero senso del potere: la violenza è quindi, secondo la mia trentennale esperienza dentro le carceri minorili, un “vuoto del potere” quando “non guarda” i suoi uomini, quando “non guarda” i suoi utenti) - scriveva Monaco -. Conosco bene la natura perversa della violenza delle strutture per restare io in silenzio. Conosco il valore e il travaglio di tutti i colleghi che, come me, di fronte alle quotidiane difficoltà, emergenze e contraddizioni, si impegnano per umanizzare i luoghi della detenzione, che sono specchio della nostra epoca, dell’attuale società, delle nostre paure e debolezze. Io avanzo quindi per me stesso, per i miei collaboratori, per i miei colleghi, ed anche ai miei superiori, la coraggiosa ed umile riflessione che pone l’atto del “guardare” come fondamento di ogni responsabilità relativa alla sicurezza sociale, al controllo comportamentale, alla rieducazione e reinserimento dei condannati».

L’unico antidoto alla violenza, dunque, è la presenza degli operatori, la presenza di figure educative, in luoghi umani, luoghi che sia davvero rieducativi. La scelta che Monaco ha fatto in concreto, mantenendo la scuola aperta e garantendo ai giovani attività, rese ora quasi impossibili dal sovraffollamento. Servono personale e spazi, una magistratura più presente e, soprattutto, misure alternative, cancellando quella lentezza burocratica che rende quasi impossibile uscire dagli istituti e tornare in società.