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La cooperativa “29 giugno”, nata trentadue anni fa per il reinserimento sociale dei detenuti, rischia di finire in liquidazione. Oggi è convocata un’assemblea straordinaria dei soci della cooperativa sociale per proporre, appunto, la messa in liquidazione volontaria dell’attività. Perché?
Bisogna fare un passo indietro e partire da quando, dopo gli arresti per “Mafia capitale”, la cooperativa è stata commissariata. In quel momento gli stessi lavoratori, circa 1300 impiegati dal gruppo della “29 giugno”, si misero in allarme temendo per la propria sorte. Ci avevano visto giusto. Quando a gennaio del 2018 si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione, si è ritrovato a fronteggiare una situazione complessa, con una perdita altissima ereditata dai commissari precedenti e un contenzioso milionario con l’Ama in merito alla raccolta differenziata. Una situazione che si è ripercossa non solo ai lavoratori, ma anche sulla qualità del servizio e, in effetti, il problema dei rifiuti nella Capitale è oggetto di numerose polemiche.
Sulla gestione dei rifiuti, la vicenda è la seguente. Secondo gli inquirenti dell’inchiesta “Mafia capitale”, i prezzi garantiti per la differenziata sarebbero stati appositamente gonfiati ( turbativa d’asta) e, proprio per questo, nel 2015 fu indetta una nuova gara d’appalto fissando un prezzo decisamente più basso. La gara fu vinta dalla “29 giugno”, ma - visto i soldi del tutto insufficienti - per garantire il servizio è stato cambiato il contratto ai lavoratori, il quale ha comportato, di fatto, una riduzione considerevole dello stipendio. Alla fine è accaduto che la stessa cooperativa gestita dagli amministratori giudiziari ha intentato una causa all’Ama proprio perché avevano previsto prezzi remunerativi insufficienti. Il contenzioso della “29 giugno” nei confronti dell’Ama tra il 2015 ed il 2018 è arrivato ad oltre 24 milioni di euro, ma nel contempo l’Ama ha risposto imputando 40 milioni di penalità per l’insufficiente esecuzione del servizio.
Ma è solo uno dei problemi del fatturato che dal 2014 al 2017 risulta calato di oltre il 20 percento, compresa la riduzione del patrimonio di ben 14,5 milioni. Uno è quello della mancata riscossione dei crediti maturati dalle commesse per la gestione dei centri di accoglienza straordinaria degli immigrati e Roma Capitale per l’emergenza alloggiativa degli sgomberi in via delle Acacie e all’ ex Hertz Anagnina. Tale mancata riscossione è dovuta dal fatto che si ritenne che il ricavato fosse frutto del malaffare. Vale la pena ricordare la telefonata - una delle più famose dell'intera inchiesta di “Mafia Capitale” che fece Salvatore Buzzi ad una sua collaboratrice: « Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno ». Ma davvero era numerativo per il gruppo delle cooperative legate alla “29 giugno”, in particolare la Eriches 29 messa poi in liquidazione? Si dice che avrebbe chiuso i battenti perché, con le leggi del nuovo governo, non si guadagna più. In realtà, esattamente ai tempi della telefonata di Buzzi, ciò non risultò poi così remunerativo.
Il Dubbio ha potuto visionare le convenzioni tra la Eriches del gruppo “29 giugno” e Roma Capitale per la gestione dello Sprar. Cosa si evince? In realtà Roma Capitale non pagava 35 euro di rimborsi garantiti, ma 28 euro con l’iva inclusa al 4 percento. Accadde che dal giugno 2013 - quando era iniziata l'accoglienza con convenzioni firmate ad € 35,00 pro die/ pro capite -, una lunga serie di ripensamenti e marce indietro portarono Roma Capitale ad applicare il cofinanziamento di 7 euro. Cosa ha significato? Un ricavo basso, tanto da comportare difficoltà nella gestione, visto che ovviamente bisognava garantire il servizio, compreso il rispetto del contratto di lavoro degli operatori. Almeno dalla visione di queste convenzioni, ci si potrebbe domandare se davvero gli immigrati rendevano più della droga. Ma ritorniamo alla gestione del gruppo “29 giugno” da parte dei commissari. Altro aspetto che emerge dai bilanci sono l’aumento dei costi del personale e dei servizi di consulenza tecnica e legale a fronte di una riduzione del fatturato. A questo si aggiungono i debiti con i fornitori, soprattutto dei mezzi per la raccolta rifiuti: in meno di tre anni vengono maturati debiti, tanto da dover dare a loro come garanzia una proprietà della cooperativa. Sono tante le ragioni che hanno comportato al nuovo consiglio di amministrazione di proporre all’assemblea un immediato avvio dell’attività in liquidazione. Un problema, quello delle attività commissariate dalla magistratura, che non riguarda solamente la “29 giugno”. Le imprese commissariate dalle procure, o confiscate in via preventiva, hanno creato, di fatto, una specie di Tribunale spa che, ad oggi, risulta avere più dipendenti di una grossa azienda italiana. I manager nominati dai giudici spesso però non hanno dato grande prova di sapere amministrare le aziende sequestrate, che molte volte sono fallite lasciando per strada i lavoratori. La stessa sorte toccherà ai lavoratori della “29 giugno”? La maggior parte sono ex detenuti che attraverso il lavoro si sono riabilitati e finalmente hanno trovato la via onesta per sopravvivere. Che cosa accadrà se finiranno per strada, visto che tanti di loro hanno famiglia?
Nell’attesa della sentenza della Cassazione hanno deciso di rompere il silenzio alcuni coinvolti in “Mafia capitale”, convinti della loro estraneità con la mafia: Claudio Bolla, che faceva parte dell’amministrazione, e Carlo Guarany, ex vicepresidente della cooperativa, che assieme ad altri stanno creando un comitato con l’intento di evitare il consolidarsi di un “precedente” giudiziario che a detta loro ritengono «pericoloso per la società e per la democrazia del Paese». Ciò che contestano è l’assunto giudiziario che considera mafiosa la cooperativa “29 giugno”, pur essendo quest’ultima una realtà non certo importante anche nei numeri, priva di controllo del territorio e di armi, e comunque oggi completamente smantellata con gli arresti dei suoi esponenti. Secondo i promotori verrebbero “minati i principi democratici e costituzionali”, su cui si fonda il Paese, perché in futuro si darebbe agli inquirenti la possibilità di contestare il 416 bis anche in altri ambiti, come ad esempio le associazioni che si occupano di lotte per la casa passando ai casi di scontri fra le tifoserie ultras.
Carlo Guarany, a proposito della probabile chiusura della “29 giugno”, denuncia a Il Dubbio che si tratta di «una fine che pare proprio voluta sin dall’inizio: tutto sembra tornare, ogni azione, ogni passo, ogni mossa, sin dal giorno degli arresti e dell’esplosione della vicenda “Mafia capitale”, un sasso che, fatto artificiosamente rotolare, è diventato una valanga, è diventato mafia». Continua l’ex vicepresidente della cooperativa: «Al netto degli errori commessi, sul piano penale ( non l’accusa assurda di mafia che tutti gli imputati rifiutano.), sul piano sociale- imprenditoriale- politico, financo sul piano umano, la “29 giugno” rimane un’esperienza straordinaria dal punto di vista imprenditoriale, sociale ed umano. Nata dentro il carcere di Rebibbia, nel corso degli anni ha consentito l’inserimento nel mondo del lavoro, il recupero della dignità di cittadini, di centinaia di detenuti, giovani tossicodipendenti e disabili fisici e psichici» . Infine Guarany conclude con una stilettata ai politici che frequentavano la cooperativa: «Quanti operatori sociali, assistenti, educatori, psicologi, potrebbero testimoniare che quando c’era da collocare l’incollocabile, quello che nessuno voleva, si rivolgevano alla “29 giugno”, ma ora sono ancora tutti nascosti, un po' vigliacchi, un po' impauriti ( Non certo dai “mafiosi”.), non hanno il coraggio di raccontare una parte della verità. Quasi come i politici che fino al giorno prima degli arresti portavano la “29 giugno” in palmo di mano e che sotto elezioni facevano la fila per elemosinare voti, posti di lavoro e finanziamenti. Dopo gli arresti: “Chi li conosce?!”».
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