«Per cominciare bene l’anno, la chiudiamo, ministro Andrea Orlando, questa VII sezione di Regina Coeli?», così Rita Bernardini, della presidenza del Partito Radicale, conclude la lettera aperta nei confronti del guardasigilli a proposito della sezione “nuovi giunti” del carcere romano di Regina Coeli. A capodanno, come già riportato da Il Dubbio, la delegazione del Partito radicale composta dalla Bernardini stessa, insieme ai dirigenti di Nessuno Tocchi Caino Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, ha fatto tappa anche al carcere di Regina Coeli. Gli esponenti radicali hanno così potuto visitare dettagliatamente l’ultimo piano della sezione destinata ai “nuovi giunti”. Parliamo di una sezione importate, perché si tratta di “accogliere” le persone che subiscono i primi momenti della detenzione. Eppure, come denuncia Rita Bernardini, permane l’indecenza.

Sì, perché non ha fatto altro che riscontrare problematiche già denunciate in tutte le visite precedenti, anche con Marco Pannella. In particolare nel 2015 quando, un “nuovo giunto”, si suicidò proprio in quella sezione che risultava già fatiscente. L’esponente radicale denuncia, in primis, la mancanza dei controlli da parte del «giudice di sorveglianza che, in base al comma 2 dell’art. 69 della legge penitenziaria, deve esercitare anche “la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti”». La Bernardini spiega che in quella sezione «i detenuti stanno chiusi in tre ( letti a castello a tre piani) in celle minuscole concepite per un detenuto, celle sporche, buie, dove manca l’aria, cuscini e materassi sudici e smozzicati; riscaldamento e acqua calda per le docce non pervenuta». Come se non bastasse l’esponente radicale rivela che l’ora d’aria è quasi del tutto inesistente, perché «uno dei due passeggi che consentiva ai detenuti di fare almeno una sola ora di aria è inagibile in quanto cadono i calcinacci in testa ai frequentatori. Non solo detenuti, ma anche agenti».

In pratica, la Bernardini, denuncia che i detenuti stanno «sepolti lì dentro con il blindo chiuso» per 23 ore e 40 minuti. «Non convince – prosegue Rita Bernardini nella lettera aperta - la giustificazione “ma lì ci stanno per pochi giorni prima di essere assegnati in sezione”, non solo perché anche un solo giorno in quelle condizioni è traumatizzante, ma perché per non pochi detenuti i giorni possono diventare - e diventano - anche mesi». L’esponente del Partito radicale, infine, conclude con un invito al ministro della Giustizia Andrea Orlando affinché venga al più presto chiusa la sezione. Ricordiamo che “i nuovi giunti”, proprio perché subiscono i primi momenti della detenzione, secondo diverse direttive emanate con il tempo dal Dap, devono vivere reclusi in un ambiente meno traumatizzante possibile. Per questo esiste il servizio di accoglienza per le persone detenute. Nello specifico, viene – o dovrebbe - messo in atto un protocollo per prevenire il rischio suicidario, particolarmente presente nei primi periodi di detenzione; conoscere la persona ai fini del successivo programma di trattamento individualizzato; ridurre la conflittualità intersoggettiva che – anche a causa dalla mancata o scarsa conoscenza delle regole della vita penitenziaria - può dar luogo a conseguenze disciplinari e penali, soprattutto nella prima fase della detenzione; prevenire le malattie e garantire la continuità delle terapie eventualmente già in corso al momento dell’ingresso in Istituto. Nel servizio operano, unitamente allo psicologo, altre figure professionali, in modo da costituire uno staff di accoglienza multidisciplinare che prenda in carico i detenuti nuovi giunti, anche al fine di predisporre azioni specifiche per prevenire atti di autolesionismo. Lo staff si compone del direttore che lo coordina, del medico incaricato o del medico Sias ( Servizio. Integrativo di Assistenza Sanitaria), dell’infermiere, dello psicologo, dello psichiatra, del responsabile dell’area educativa ( o di un suo delegato) e del comandante del reparto di polizia penitenziaria ( o di un suo delegato). Viene integrato con la presenza di altri specialisti come: gli operatori del Ser. T, gli assistenti sociali e i mediatori culturali e/ o sociosanitari, a seconda delle esigenze e dei problemi manifestati dal detenuto. Inoltre, ricorre alla collaborazione esterna di operatori del volontariato con specifiche qualifiche. A tutto questo, ovviamente, deve corrispondere anche una struttura adeguata. Difficile garantire questo servizio con l’ora d’aria di venti minuti al giorno, materassi sporchi e acqua calda inesistente.