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«Dove eravamo rimasti?». Marcello De Vito rientra nell’aula dell’assemblea capitolina otto mesi dopo il giorno dell’arresto, quando sulla sua testa piombò l’accusa di corruzione. Arriva in anticipo, inciampando in applausi, strette di mano e abbracci, come se la condanna preventiva scagliata su di lui dal capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, fosse caduta nel vuoto o quasi. E torna citando un Enzo Tortora che, reduce da quattro anni di umiliazione, riappariva in tv da uomo finalmente riconosciuto innocente. Un parallelismo, quello fatto da De Vito in latino - «Heri dicebamus» la frase pronunciata - che sembra un messaggio ai collegi: fermi tutti, pare voler dire, sono qui perché sono un uomo innocente. E molti di loro, quanto meno, gli garantiscono il beneficio del dubbio. Non le opposizioni, che chiedono un passo indietro per ragioni di opportunità, e nemmeno uno dei massimi esponenti del M5s romano, Enrico Stefàno, che gli consiglia di riflettere, ma tutti coloro che, a turno, passano a tendere una mano verso lo scranno, per testimoniare la loro gioia nel rivederlo. In aula non c’è la sindaca Virginia Raggi, alla quale, dal carcere, De Vito aveva indirizzato una lettera, smarcandosi dalle accuse e dimostrandosi amareggiato per la scelta di Di Maio di cacciarlo dal Movimento.Secondo l’accusa, in cambio di tangenti il politico avrebbe tentato di indirizzare il Consiglio ad approvare tutta una serie di delibere in grado di agevolare il progetto collegato allo Stadio della Roma e altri interventi urbanistici in città. Dopo tre mesi di carcere, era finito ai domiciliari, dove è rimasto fino a pochi giorni fa. Per lui è stato disposto il giudizio immediato il 3 dicembre. Ma nel frattempo la Cassazione, valutando le esigenze cautelari, aveva smontato le accuse: contro di lui, secondo i giudici, ci sarebbero solo «congetture» ed «enunciati contraddittori».De Vito può presiedere di nuovo l’Assemblea in virtù della legge Severino, ricordata in aula prima di farlo sedere di nuovo al suo posto. Ai sensi dell’articolo 11, comma 6, del decreto legislativo 235/ 2012, dunque, e a seguito dell’ordinanza del 18 novembre di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal tribunale di Roma con parere favorevole del pm, che ha considerato decaduto le esigenze cautelari, come dichiarato con decreto prefettizio, la sospensione del politico è cessata. E così anche la sostituzione di Roberto Allegretti. «È un piacere e un onore rientrare in quest’aula a presiedere e risalutare voi colleghi dice riprendendo il microfono - e vi ringrazio per l’accoglienza che mi avete riservato». Un ringraziamento rivolto ai colleghi di maggioranza, della quale continua a far parte: nonostante l’editto di Di Maio, infatti, il procedimento per la fuoriuscita avviato dai probiviri del Movimento si è arrestato e, dunque, De Vito rimane nel M5s.Subito dopo l’apertura della seduta partono le prese di posizione. Cristina Grancio, del gruppo misto, annuncia l’abbandono dell’aula come segno di protesta, non in riferimento «alla figura del presidente», ma contro una maggioranza «supina che non si sa a quali poteri si è arresa e che permette che un ruolo di garanzia e di equità sia portato a compimento da un consigliere sotto processi per reati contro la pubblica amministrazione», proprio nei giorni in cui in aula è previsto l’arrivo «della delibera sullo stadio», argomento «che ha portato il presidente di quest’aula a questa situazione e al processo». Andrea De Priamo, di Fratelli d’Italia, decide di rimanere in aula, ricordando l’atteggiamento «garantista» del suo partito. «Però credo che sia opportuno non fare neanche finta di niente - sottolinea -. Siamo contenti di vederla e in condizioni diverse da quelle che ha vissuto nei mesi passati, ma il tema di opportunità politica della carica più alta di questa assemblea nella sua condizione permane». Da qui l’invito a riflettere «e valutare le dimissioni dalla carica». Ma De Vito mantiene la calma: «ho verificato il testo,non vedo elementi ostativi alla funzione che ricopro». E ringraziando «per i richiami ai doveri della mia funzione», ricorda che per la revoca «non c’è un’istanza con 24 firme». Ma laddove ci dovesse essere, giura, «sarà cura di questa presidenza calendarizzarla». Il copione è lo stesso anche con Giulio Pelonzi, del Pd, che sottolineando «comprensione» per la vicenda umana, si dice preoccupato per «il profilo politico- istituzionale», interrogandosi «sull’opportunità» di svolgere quel ruolo «avendo un processo da affrontare». Ma la spaccatura nel M5s si registra quando Stefàno, ex vicepresidente vicario dopo l’arresto di De Vito, si dissocia dagli applausi. «Non ho nulla di personale nei suoi confronti dal punto di vista umano, sono felice di vederla qui, però il suo è un ruolo molto delicato di rappresentanza non solo dell'Aula ma, attraverso l'Aula, di tutta Roma - sottolinea -. È inevitabile una sua riflessione da questo punto di vista». A difenderlo Monica Montella: «un passo indietro è un'ipocrisia».