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«Il Presidente Trump (al quale auguro pronta guarigione) ha sempre glorificato il plasma iperimmune come cura miracolosa contro COVID-19, con annunci trionfali alla convention repubblicana. Però ora che si è ammalato non si fa curare con il plasma iperimmune, ma con un cocktail di anticorpi monoclonali. Facile fare i populisti con il virus degli altri». A dirlo è il virologo Roberto Burioni, commentando il comunicato stampa rilasciato dalla Casa Bianca sulla terapia disposta per il Presidente Trump. Il tycoon, ricoverato da ieri al Walter Reed National Military Medical Central dove è stato trasferito qualche ora dopo aver annunciato di essere risultato positivo al Coronavirus, ha iniziato la terapia con il Remdesivir, potente antivirale sviluppato anni fa per Ebola e usato in questi mesi con alterni risultati contro il Covid. «Nel comunicato si parla di “anticorpi policlonali” perché è stato usato un cocktail di due anticorpi monoclonali - ha aggiunto Burioni - il che fa diventare la preparazione non più monoclonale (un clone) ma policlonale (due cloni). Avrebbero potuto scriverlo meglio ma questa è la sostanza». Si tratta di una terapia sperimentale e per Trump è stato autorizzato «l’uso compassionevole»: il mix di anticorpi monoclonali, messo a punto dalla bioteck newyorkese Regeneron, è ancora in fase di studio. Una dose massiccia, 8 grammi, il massimo previsto, per abbassare rapidamente la carica virale e ridurre i sintomi. Appena 4 giorni fa l’azienda aveva annunciato i primi risultati di uno studio (ancora in attesa di pubblicazione) che, sui primi 275 pazienti non ospedalizzati arruolati, ha dimostrato una chiara riduzione della carica virale (e dei sintomi) nel giro di una settimana, anche nei soggetti con una scarsa risposta immunitaria autonoma. Il che dimostrerebbe l’efficacia del ruolo di «supplenza» degli anticorpi monoclonali quando l’organismo non riesce a reagire da solo. Siamo però ancora in una fase molto precoce, e si attendono i risultati dello studio di fase 2-3 su 1.300 pazienti non ospedalizzati, cui si affiancano uno studio sempre di fase 2-3 condotto sugli ospedalizzati, uno di fase 3 in Gran Bretagna e un altro di fase 3 per la prevenzione del contagio intrafamiliare. La loro efficacia, insomma, dal punto di vista scientifico è ancora da certificare (senza contare la questione della sostenibilità, visto che si tratta di prodotti iper sofisticati che costerebbero migliaia di dollari a dose), ma evidentemente i primi risultati hanno convinto i medici della Casa Bianca dell’opportunità di tentare di rinforzare così le difese immunitarie del presidente, proprio con questi cloni di anticorpi di convalescenti, coltivati in vitro, purificati e poi infusi. Una strada tra le più incoraggianti nella lotta al Covid, secondo il virologo Guido Silvestri, che vive e lavora ad Atlanta: «Se hanno scelto il cocktail Regeneron, vuol dire che, almeno secondo i risultati iniziali, questo è più potente di quello della Lilly, che è comunque più potente del singolo anticorpo LY-CoV-555 che, da solo, riduce del 72% il rischio di ospedalizzazione se somministrato all’esordio dei sintomi. In altre parole, e come da me previsto da mesi, tutto fa presagire che questi anticorpi faranno una grande differenza positiva nel gestire la pandemia». Sicuramente, tra tutti i farmaci somministrati a Trump, il cocktail di anticorpi è la novità più significativa, commenta anche il farmacologo Silvio Garattini: «Tutte le sperimentazioni comportano dei pericoli, è insito. Trump poi ha anche dei fattori di rischio legati ai problemi di salute e all’età. Non sappiamo quanto sia grave ma di sicuro non è un asintomatico. Di certo i medici hanno giudicato che vale la pena correre il rischio di un farmaco non ancora testato rispetto agli attesi benefici».