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In 26 anni sono state 193 le persone indagate per fatti di mafia, in circa 350 procedimenti penali, tra gli iscritti alle logge massoniche di Calabria e Sicilia. Ma tra questi, solo sei sono quelli condannati in via definitiva, mentre per altri 25 i procedimenti penali sono ancora in corso. Sono questi i numeri emersi dalla relazione conclusiva su “Mafia e massoneria”, illustrata ieri a palazzo San Macuto dalla commissione parlamentare antimafia. Numeri che, stando alle conclusioni del presidente Rosy Bindi, destano allarme e necessitano un intervento legislativo che vieti categoricamente la segretezza delle associazioni, elemento comune alle due associazioni e dunque terreno fertile per l’infiltrazione. L’analisi si è limitata a Calabria e Sicilia e ha interessato quattro fratellanze, per un totale di poco superiore ai 17mila iscritti.Su sei persone condannate, solo due (un pensionato e un commercialista) sarebbero tuttora iscritti e attivi. «Non è un’inchiesta sulla massoneria - ha precisato Bindi - ma sulla presenza della mafia nella massoneria». Un’inchiesta che parte dalle recenti indagini antimafia nelle due regioni e caratterizzata da «una mancanza di collaborazione dei gran maestri ostentata fin dall’inizio», denuncia la presidente. «Gli elenchi ufficiali - ha spiegato - presentano una certa opacità e impossibilità piena di individuare gli iscritti», circostanza che il gran maestro del Goi, Stefano Bisi, ha smentito al termine della conferenza stampa. La mafia sarebbe interessata alla massoneria, si legge, «perché consente di incontrare la classe dirigente del paese», utile alla mafia per riciclare denaro sporco in attività legali. Di fronte a questa volontà, le logge si sarebbero dimostrate «arrendevoli» e avrebbero dimostrato «mancanza di volontà a dotarsi di strumenti» in grado di chiudere le porte alle mafie, «tollerando» la doppia militanza a mafia e massoneria, «spesso nota ad entrambe le organizzazioni» e «quasi ricercata».Le indagini giudiziarie, ammette però la relazione, non sono «mai giunte» ad un giudicato definitivo «circa una relazione stabile e continuativa» tra le due parti, ma il quadro complessivo rivelerebbe, in ogni caso, «una pericolosa e preoccupante contiguità», iniziata in Sicilia alla fine degli anni ‘70 e grazie alla quale sarebbe stato possibile «interferire in qualche modo sulle indagini giudiziarie». Più complessi, invece, i rapporti con la ‘ndrangheta, che ha dato vita ad una carica di livello superiore - la “Santa” - in grado «di creare un collegamento stabile tra l’associazione mafiosa e i vari centri di poteri presenti nella massoneria».Dura la replica di Bisi, che si è detto «preoccupato» dalla possibilità di reintrodurre «leggi fasciste», che in un passaggio della relazione vengono definite, al di là delle «volontà illiberali», come garanzia «di conoscenza e di trasparenza». Leggi che, ricorda Bisi, «hanno prodotto un regime repressivo violando ogni libertà».