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Sono un avvocato che è abituato a pensare e non ad essere coinvolto in modo asettico dai mutamenti legislativi. Sono della generazione che ha consultato il Foro Italiano e la Cassazione Penale e Civile in cartaceo, che ha in studio le riviste raccolte in volumi e le conserva gelosamente e le consulta.
Sono della generazione per la quale una ricerca giurisprudenziale poteva impiegare anche una settimana. Sono di quelli che oltre alla giurisprudenza andavano a consultare anche la migliore dottrina. Insomma sono un “vecchio” avvocato di 60 anni che ha 34 anni di professione alle spalle. La vecchiaia non si misura con l’orologio o con il calendario ma con la capacità di cogliere e di accogliere i mutamenti. Ecco: però ci sono mutamenti e mutamenti.
Vorrei disquisire con libertà di pensiero (anche perché l’azione non sempre è conseguentemente libera) sulle riforme legislative che introducono le cosiddette “inammissibilità telematiche”. Forse merito dei rimproveri e delle aspre critiche da chi accoglie con grande faciloneria ( almeno per me) le riforme che vedono imperare il mondo telematico su quello giuridico e sui diritti di difesa. Voglio porre in modo quasi irriverente la questione del diritto di difesa e anche di quello dell’accusa. Se è possibile dichiarare la inammissibilità di un atto non per la sua intrinseca natura o contenuto ma per la variabili regole di deposito (si veda Cassazione Penale Sez. I n. 47557 del 2024 – Ud. 29/ 11/ 2024), siamo proprio sicuri che il diritto di difesa sia ancora garantito? La difesa di una persona deve passare dalle forche caudine dei cosiddetti “cavilli telematici”? Pare proprio di sì, e pare anche che tutto ciò sia ampiamente accettato.
Allora andiamo a vedere bene come funziona il “sistema telematico”. Molto spesso nel portale i fascicoli non sono visibili e quindi le parti non possono depositare gli atti. Molto spesso le regole variano da Tribunale a Tribunale e questo è inconcepibile. Il 7 gennaio scorso la App del ministero non ha funzionato, e si è bloccato per ore il lavoro di tutti i Tribunali italiani. Ma vi è di più. A fronte di deposito di atti di impugnazione, vengono richieste, dagli uffici giudiziari, le copie in forma cartacea agli avvocati con pec.
Insomma non solo non funziona il cosiddetto sistema telematico, ma addirittura nell’Amministrazione della giustizia, evidentemente, mancano carta e inchiostro per le stampanti.
Però se l’avvocato non deposita “alla pec giusta” (si veda Cassazione Penale Sez. I n. 47557 del 2024 – Ud. 29/ 11/ 2024) secondo quanto previsto, e l’atto, pur giungendo nella sede giudiziaria, non ha i “requisiti telematici”, viene dichiarato inammissibile.
Si va a ledere un diritto costituzionale in virtù di una norma di rango ordinario (si chiamerebbe “gerarchia delle fonti”) per via di una pec non trasmessa al posto “giusto”.
Tutto ciò, oltre ad essere illogico, sembra immorale ed è certamente contro la Carta Costituzionale. Ritengo – e l’ho già scritto altre volte – che il Pnrr non possa essere la giustificazione per un abbassamento delle garanzie e l’annullamento dei diritti. Forse dobbiamo semplificare il deposito degli atti, invece di complicarne la pratica andando contro il principio consolidato della conservazione delle impugnazioni quale principale baluardo del diritto di difesa.
Questo non più giovane avvocato non intende andare contro le innovazioni legislative ma non vuole nemmeno barattare un formale efficientismo (che pare piuttosto lontano) con la violazione del diritto di difesa.