Otto mesi di reclusione. È la condanna emessa nel processo di appello contro l’avvocata ed attivista tunisina Sonia Dahmani, al termine dell’udienza tenutasi il 10 settembre scorso.

Come riportato dagli osservatori dell’Oiad (Osservatorio internazionale degli avvocati in pericolo), di cui il Consiglio Nazionale Forense è cofondatore, e di altre organizzazioni internazionali che hanno assistito all’udienza, tra le quali il Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE) la condanna è stata emessa dopo che la Corte si è ritirata in camera di consiglio per deliberare esclusivamente sulla domanda di ricusazione del collegio proposta dalla difesa di Sonia Dahmani.

La sentenza, quindi, è stata emessa senza alcun contraddittorio tra le parti, senza la requisitoria dell’accusa e le arringhe difensive degli avvocati. La precedente udienza, tenutasi il 20 agosto, era stata rinviata a seguito delle proteste degli avvocati per la mancata traduzione in aula dal carcere dell’imputata.

A luglio di quest’anno Sonia Dahmani era stata condannata a un anno di reclusione per «diffusione di notizie false» dalla giustizia tunisina per via di alcune affermazioni fatte nel corso della sua partecipazione ad una trasmissione televisiva avente ad oggetto la situazione politica e sociale della Tunisia, con riferimento all’arrivo di migranti dall’Africa subsahariana.

Le modalità del suo arresto, eseguito il 9 maggio 2024 all’interno della sede dell’Ordine Nazionale degli avvocati della Tunisia (ONAT), da persone che si sono introdotte nell’edificio con la forza, in abiti civili e con il volto coperto da passamontagna, sono state oggetto di un comunicato di condanna del Cnf emesso il 12 maggio scorso.

In un comunicato congiunto l’Oiad, il Ccbe e le altre rappresentanze dell’avvocatura che hanno assistito all’udienza denunciano le gravi violazioni del diritto di difesa e delle più elementari regole del giusto processo ed esortano le autorità tunisine “a prendere tutte le misure necessarie affinché si ponga fine a questa situazione che rasenta la negazione più assoluta dei diritti fondamentali della persona umana”.