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Finiscono sul tavolo della Ministra Cartabia le pesantissime parole usate dalla prima Corte di Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui il 5 maggio ha condannato all'ergastolo Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth per l'omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega: «Ma perché dileggiare la condotta delle vittime - si legge nel dispositivo - e metterle sul banco degli imputati come reiteratamente è stato fatto in questo processo, esercitando il diritto di difesa al limite del consentito e della decenza? Perché tutte quelle insinuazioni volte a screditare l’operato dei carabinieri ipotizzando finanche dei reati? Si tratta di una ricostruzione insostenibile, fuori da ogni logica, smentita dalla descrizione che plurime fonti dichiarative hanno fornito della vittima e del suo operato». Ma a cosa si riferiscono di preciso i giudici nella sentenza (Presidente estensore: Marina Finiti, giudice a latere: Elvira Tamburelli)? Alla condotta assunta dai legali Fabio Alonzi, Renato Borzone, Roberto Capra e Francesco Petrelli durante il processo basato sostanzialmente sulle testimonianze dei due imputati e sulle dichiarazioni dell'unico testimone oculare dell'omicidio, il carabiniere Andrea Varriale, anch'egli aggredito. I legali hanno contestato più volte le sue dichiarazioni e lo hanno accusato di aver inquinato le indagini con le sue bugie, prima fra tutte quella accertata relativa al possesso dell'arma di ordinanza la notte dei tragici eventi. Questo suo comportamento, insieme a quello di altri suoi colleghi dell'Arma, ha portato ad ipotizzare omissioni e depistaggi per coprire condotte non professionali di singoli appartenenti all'Arma. Alle giudici però questo atteggiamento dei difensori non è piaciuto e nelle 346 pagine delle motivazioni hanno trovato lo spazio per esprimere un giudizio soggettivo sull'operato della difesa. Gli avvocati però non sono rimasti inermi e ieri hanno inviato un esposto alla Guardasigilli per l'adozione di eventuali iniziative nei confronti della Finiti e della Tamburelli e ai Consigli dell'Ordine forensi di appartenenza per rimettere ai propri organi di disciplina ogni valutazione circa il loro comportamento processuale. La vicenda ha suscitato anche la ferma reazione delle Camere Penali, a partire dalla Giunta di quella nazionale: « È un fatto certamente estraneo ai più elementari canoni di legalità processuale e di correttezza professionale del magistrato quello di formulare, addirittura all’interno delle motivazioni di una sentenza, apprezzamenti personali e professionali nei confronti dell’intero collegio difensivo. È sorprendente come non si comprenda che simili arbitrarie intemperanze lessicali ed argomentative siano inesorabilmente destinate ad alimentare il dubbio di un indebito coinvolgimento emotivo e di un condizionante pregiudizio del Giudice.[...] Se un'accusa di tale eclatante gravità avesse mai avuto un qualche reale e concreto fondamento in specifici episodi, essi non solo sarebbero di già noti, ma – ed è quel che più conta- avrebbero dovuto imporre a quei giudici immediati interventi di censura e di denuncia propri del potere-dovere di governo della udienza che compete a quella altissima funzione». Hanno aggiunto le Camere penali di Roma e del Piemonte Occidentale e della Val D'Aosta: « La sentenza afferma un nuovo ed inaudito principio di diritto: la difesa ha un doppio limite, etico e giuridico. Quando un giudice richiama l’Etica come principio informatore ed ispiratore della sua decisione non possiamo non percepire il rischio di una inquietante deriva moralista che si affianca e rafforza quella giustizialista. La Difesa non è più soltanto inutile, ma è anche indecente, scabrosa, provocatoria. Quello che forse la Corte di Assise di Roma non coglie è che questa deriva “moralista” potrebbe investire anche la Magistratura e la legittimazione delle sue decisioni». Si spinge oltre la Camera Penale di Napoli che critica anche l'ergastolo ai due imputati: « Feroce. È l'unico aggettivo che ci viene in mente leggendo la sentenza. È feroce nel dispositivo poiché - fermo restando l’oggettiva ed indiscutibile gravità della vicenda - condannare a pena perpetua due ragazzi poco più che adolescenti ed incensurati per il raptus di un momento significa non credere minimamente alla finalità rieducativa della pena e, di fatto, aderire ad una logica meramente vendicativa della sanzione penale. Ma questo ai giudici non deve essere sembrato sufficiente. Nella motivazione hanno deciso di infierire anche sugli avvocati. Senza infingimenti è ben chiaro cosa la Corte imputa ai difensori: di aver - udite, udite! -messo in dubbio la parola dell'accusa e della polizia giudiziaria (alcuni dei quali, peraltro, escussi quali testimoni, sono tuttora sottoposti ad indagini). Cioè, di aver assolto al proprio compito». E concludono che i giudici « non hanno, invero, alcuna legittimazione né tantomeno alcuna superiorità morale che gli consenta di ergersi a censori delle scelte difensive degli imputati e dei loro avvocati». Per la Camera Penale di Milano « quelle opinioni, di cui ora si ha conoscenza autentica, paiono viziare l'obiettività del giudizio di colpevolezza espresso e quindi, oltre a eventuali conseguenze processuali, si pone il significativo e inquietante problema di come mettere gli individui al riparo dalla mancanza di obiettività dei giudici; l'intemerata determinazione dei giudici di esternare le proprie opinioni personali sullo svolgersi del processo appare come l'evidente dimostrazione di un sentimento diffuso di pretesa impunità rispetto all'autorità disciplinare». Non entrano nel merito della discussione invece gli avvocati di parte civile, Franco Coppi, Roberto Borgogno, Ester Molinaro, Massimo Ferrandino: «Quali difensori di parte civile della famiglia Cerciello Rega e del Carabiniere Varriale riteniamo che sia stata assicurata alla difesa degli imputati ogni possibilità di difesa, come testimonia la durata stessa del dibattimento e non intendiamo interferire nelle polemiche che si sono sviluppate circa alcune valutazioni espresse dalla sentenza sulla condotta degli avvocati difensori. Nel processo di appello ci sarà sicuramente spazio per discutere dei temi che si sono oggi sollevati».