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Summum ius summa iniuria. Lo sanno bene gli avvocati. La pandemia ha fatto emergere, oltre alla tragedia delle tante vittime e alle gravi conseguenze sociali, anche grandi contraddizioni normative. Un anno fa, con l’emergenza pandemica, sono stati predisposti alcuni interventi volti a sostenere coloro che non beneficiano di uno stipendio fisso. Tra questi i liberi professionisti. Con l’istituzione del reddito di ultima istanza non sono mancate situazioni paradossali che hanno interessato pure gli avvocati. La storia che vi raccontiamo ha come protagonista l’avvocato Alberto Vitale, 51 anni, del Foro di Padova. Vitale ha una grave invalidità: è cieco ventesimista e negli ultimi dieci anni le sue condizioni di salute sono peggiorate. Per questo percepisce una pensione di invalidità da Cassa forense di circa 640 euro mensili. Nonostante ciò, il professionista patavino non ha mai smesso di lavorare con entusiasmo e dedizione. «Svolgo – dice al Dubbio – una professione bellissima e indossare la toga è per me un onore». Poco più di un anno fa Vitale, come tanti suoi colleghi, ha dovuto fare i conti oltre che con il pericolo del contagio anche con un calo preoccupante del fatturato. Udienze rinviate e tribunali chiusi le prime conseguenze della diffusione del coronavirus. I provvedimenti governativi che si sono succeduti nel 2020 non hanno previsto una cornice completa, tanto che l’avvocato Vitale per la sua patologia è stato escluso dal reddito di ultima istanza, introdotto con il decreto legge 18/ 2020, convertito nella legge 27 del 2020. Già, perché tale sussidio non è stato previsto per i beneficiari di assegno di invalidità erogato dall’istituto di previdenza della categoria professionale di appartenenza. Una discriminazione per Vitale e per chi versa nelle sue stesse condizioni. Di qui l’inizio di una lunga interlocuzione con istituzioni diverse. A partire da Cassa forense, passando direttamente per la presidenza del Consiglio dei ministri. «Non mi sento tutelato — afferma Vitale — e mi sarei aspettato ben altra sensibilità verso una categoria debole. Purtroppo, fino a questo momento solo continui rimpalli».A prendere a cuore la vicenda di Vitale è stato l’Ordine degli avvocati di Padova, che negli scorsi mesi ha fatto una serie di verifiche per trovare una soluzione che venisse incontro alle esigenze del proprio iscritto. «Il Consiglio — commenta il presidente del Coa di Padova Leonardo Arnau — condivide la battaglia che ha intrapreso il collega Vitale per far valere i propri diritti. L’importo ricevuto a titolo di pensione o assegno di invalidità è, di norma, totalmente funzionale all’accesso alle cure mediche necessarie. Risulta di solare evidenza come l’esclusione dal reddito di ultima istanza di coloro che percepiscono una pensione o un assegno di invalidità costituisce, per gli stessi, un ulteriore danno, privo di giustificazione razionale, oltre che una possibile violazione del principio costituzionale di uguaglianza». La questione è stata segnalata ad alcuni parlamentari. Prima che diventasse ministra per le Disabilità, la senatrice Erika Stefani ha presentato un’interrogazione. «Autorevoli commentatori — prosegue Arnau — avevano auspicato che il Parlamento, in sede di interpretazione autentica, potesse chiarire che il termine “titolare di pensione” debba essere riferito unicamente ai titolari di pensione di anzianità o vecchiaia. Oppure che in alternativa la pensione o assegno di invalidità venisse integrata, nel suo ammontare netto, fino al raggiungimento dell’importo di seicento euro per tutta la durata del “Fondo per il reddito di ultima istanza”. La questione è di ordine generale e coinvolge migliaia di professionisti che si sono visti privare di un sostegno necessario, considerata la situazione emergenziale tuttora in atto». In questi mesi si sono succedute alcune comunicazioni da parte della Cassa forense. Nell’ottobre 2020 l’istituto di previdenza degli avvocati, per il tramite del suo direttore generale Michele Proietti, nel giustificare l’impossibilità ad accedere al reddito di ultima istanza, comunicava a Vitale che «la Cassa non ha potuto che attenersi al quadro normativo di riferimento, inibendo l’accesso alla procedura telematica, all’uopo predisposta per la trasmissione delle istanze, a tutti gli iscritti non in possesso dei requisiti di legge previsti». Magra consolazione per Vitale la constatazione da parte del dg Proietti sulla «iniquità della norma» con la conferma che «allo stato della legislazione vigente non è possibile includere i pensionati di invalidità nella platea dei beneficiari del cosiddetto “reddito di ultima istanza”». Prima della nomina a capo del ministero delle Disabilità, Erika Stefani, avvocata del Foro di Vicenza, ha voluto approfondire la vicenda. «Spero — evidenzia Vitale — che la ministra Stefani continui a interessarsi del mio caso, che, voglio ribadirlo, di riflesso riguarda altre migliaia di persone. Spero altresì che ci sia finalmente un intervento legislativo. Escludere, come nel nostro caso, dal reddito di ultima istanza i beneficiari di assegno di invalidità rappresenta qualcosa di anticostituzionale e di discriminatorio».