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GIANNI DI MATTEO, PRESIDENTE UNCAT
«Noi avvocati tributaristi siamo, credo, la plastica rappresentazione di quanto, nella professione legale, sia importante specializzarsi». Gianni Di Matteo è presidente dell’Uncat, l’Unione nazionale delle Camere degli avvocati tributaristi. La sua è l’unica sigla riconosciuta, nel proprio specifico ambito, dal Cnf, ed è certamente molto rappresentativa. È chiaro che Di Matteo e gli avvocati tributaristi in generale costituiscono una voce imprescindibile, nel dibattito interno all’avvocatura, sulle forme di esercizio della professione. Non potevamo che interpellare Uncat, dunque, nel giro di opinioni fra le rappresentanze forensi iniziato ieri con l’Asla di Giovanni Lega e l’Aiga di Carlo Foglieni e centrato sulle soluzioni, ordinamentali e fiscali, necessarie all’avvocatura del futuro.
Oltretutto oggi pomeriggio Di Matteo coordinerà l’incontro che Uncat ha promosso a in collaborazione con Cassa forense sulla “Fiscalità degli avvocati” per presentare la propria “Guida pratica”: evento al quale interverrà anche il viceministro dell’Economia Maurizio Leo e che è un naturale crocevia del dibattito aperto su queste pagine. «Quella promossa nell’auditorium della nostra Cassa è un’iniziativa importante, perché ci consente di illustrare e mettere a disposizione dei colleghi la nostra guida, e perché, oltre ad aspetti operativi che riguardano il quotidiano di tutti gli avvocati, toccherà anche questioni specifiche relative proprio alle forme aggregate di esercizio della professione, con elementi utili per chi sceglie questa modalità».
Partiamo appunto da qui, da cosa si può fare con la riforma della legge professionale, e non solo, per favorire le diverse forme di esercizio dell’attività di avvocato. «Chiariamo subito un punto: aggregazione vuol dire modernità, opportunità professionali più ampie, e soprattutto condivisione delle conoscenze giuridiche, non solo delle spese. E quindi è indiscutibile che nell’avvocatura si debba tendere a favorire l’esercizio in forma associata, principio che riguarda anche noi avvocati tributaristi», fa notare Di Matteo. «Questo sostegno può essere realizzato con alcune soluzioni concrete. Oggi per un giovane avvocato esistono, almeno all’inizio, alcuni vantaggi, dal regime forfettario all’imposta sostitutiva. Con l’ingresso in una Sta, società tra avvocati, per dire, si passa dal principio di cassa al principio di competenza e non c’è più la ritenuta d’acconto. Ma visto che la vita professionale di un avvocato va considerata in una prospettiva di crescita, dobbiamo guardare anche ad altre questioni: al professionista legale è preclusa la partecipazione alle Stp, le società tra professionisti, eccezion fatta per l’ingresso come socio finanziatore e con quota minima. Viceversa nelle Sta l’avvocato può detenere in tutto il 75 per cento, una maggioranza amplissima che marginalizza il socio finanziatore e i professionisti iscritti ad altri albi. Già questa mi pare una impasse che andrebbe superata normativamente». Insomma, è vero che le stesse Sta oggi risultano abbastanza ostacolate dal regime fiscale e, in generale, normativo. «Sono gravate da Ires, Irap, tassazione sul reddito prodotto, tassazione sugli oneri previdenziali in capo al singolo professionista che ne fa parte».
Dall’esterno, l’ambito degli avvocati tributaristi può apparire così specifico da rendere meno decisiva la scelta aggregativa rispetto a quella, tradizionale, “individualistica”. Ma il presidente dell’Uncat smonta subito quest’impressione: «Anche per noi l’aggregazione è molto funzionale, perché ormai l’orizzonte dell’avvocato tributarista va ben oltre il processo e la lite fiscale, ed è proiettato verso la dimensione del consulente per aziende e famiglie, per sua natura internazionalistica e che inevitabilmente ha bisogno di connessioni, di conoscenze interdisciplinari praticamente impossibili con l’esercizio individuale della professione. Siamo tra le figure che rilasciano il bollino blu relativo alla compliance con l’Agenzia delle Entrate. Insomma siamo integrati nel mondo produttivo al punto da essere oggettivamente inseriti in un sistema interconnesso».
E però sulle Sta sembra gravare anche il paradosso della doppia imposizione contributiva, di quel 4 per cento pagato due volte, come ricordato ieri sul Dubbio da Giovanni Lega e Carlo Foglieni: «Già a legislazione vigente, credo che una soluzione ci sarebbe: è vero che nelle associazioni professionali semplici il 4 per cento lo percepisce l’associazione e poi lo paga il singolo professionista, ma nella Sta c’è la possibilità di fare in modo che, anziché attribuire i dividendi, il reddito venga tassato direttamente al socio che opta per il cosiddetto principio di trasparenza. Così non c’è duplicazione: parliamo di possibilità già previste dal Testo unico sulle imposte dirette. Ma è chiaro, questo sì, che la possibilità appena ricordata è preclusa nel momento in cui nella Sta c’è per esempio, come socio minoritario, una banca finanziatrice. E qui sicuramente andrebbe trovata una soluzione normativa diversa».
E poi c’è il problema della monocommittenza, che s’incrocia con tutto il quadro di cui sopra. «La questione si pone su due piani», spiega Di Matteo, «uno ordinamentale, che credo sarà affrontato con la riforma della legge professionale, secondo le indicazioni già espresse dalle precedenti sessioni congressuali, e uno di carattere strettamente fiscale. Quest’ultimo incrocia particolarmente la competenza di noi avvocati tributaristi, e posso intanto dire che, riguardo ai giovani colleghi, non ha molto senso accontentarsi dei benefici derivanti dal regime forfettario. All’inizio il limite degli 85mila euro di reddito rende quell’opzione fiscale vantaggiosa ma, ripeto, bisogna sempre ragionare in termini di crescita. Rispetto a pregiudizi di carattere quasi filosofico, è cioè relativi all’intangibilità del principio per cui l’avvocato è libero professionista e punto, senza possibili sconfinamenti in profili giuridici di subordinazione del lavoro, si potrebbe ricordare che il giovane avvocato inserito in una Sta con partecipazione minima già oggi mantiene la propria partita Iva individuale. Ma vede, certamente i risvolti che i colleghi devono poter padroneggiare in modo più ampio sono proprio quelli relativi alla fiscalità nell’ambito della professione in forma aggregata. Ed è per offrire strumenti di conoscenza a tutti gli avvocati che abbiamo messo a punto, insieme alla Commissione studi della Cassa, la nostra Guida e abbiamo organizzato la presentazione in programma nell’auditorium dell’Istituto».