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È un circolo vizioso quello che, in parte, può spiegare la perniciosa identificazione tra l’Avvocato e l’assistito. E si basa, mi pare, su due pilastri: la necessità e la distorsione.La necessità.Nel sistema degli equilibri democratici disegnato dalla Costituzione, è necessario che il il cittadino che delega potestà allo stato sia messo nella condizione di verificare se e come quella potestà venga esercitata. Non fa eccezione la giurisdizione. Però la verifica, un tempo affidata in larga parte alla presenza diretta nei luoghi della giustizia (le aule), durante la effettiva celebrazione di quell’esercizio (il processo), da parte di chi ne avesse interesse (il cittadino o il cronista), è invece oggi affidata ad una mediazione diffusa, quella dei mass media. La struttura del villaggio globale rende così istantanea la divulgazione di informazioni, sopravanzate dalla loro stessa velocità di trasmissione; insomma, non importa tanto ciò che si racconta, quanto il fatto che lo si racconti per primi. L’attenzione e il racconto puntano allora direttamente sulla prima cosa disponibile: le indagini, fase pre-processuale incondizionatamente governata dalla parte che accusa. Ma se chiediamo di un fatto a chi rispetto ad esso ha un preciso (e legittimo) interesse ne otterremo assai probabilmente una narrazione che a quell’interesse è consentanea. Un’imperfetta competenza tecnica del narratore sull’argomento fa, a volte, il resto del lavoro.Dunque, si comprende agevolmente perché la narrazione della vicenda giudiziaria focalizzata sull’indagine restituisca ineluttabilmente l’idea che ogni indagato sia in realtà un colpevole. E questo incomincia a lumeggiare il secondo pilastro di cui si diceva.La distorsione. Perché, se l’indagato è un colpevole, tutto ciò che segue cronologicamente all’indagine non serve più. Il processo, insomma, da luogo di effettivo esercizio della giurisdizione, diventa inutile orpello, buono nella migliore delle ipotesi a confermare quanto già si sapeva dall’inizio. Il controllo collettivo sull’esercizio della funzione, insomma, alimentato da una narrazione precoce, parziale e a volte di scarsa qualità, non solo perde il suo scopo, ma rischia persino di corrompere dall’interno la funzione stessa cui è rivolto.Ecco, proprio quando questo accade (ormai quasi sempre) l’Avvocato diventa il suo assistito e, quasi come lui, merita la punizione. In fondo è logico: difendere un colpevole è di per sé una colpa che al contempo qualifica chi la commette e fa perdere inutilmente alla collettività tempo e risorse. In questo humus virulento, che favorisce talvolta episodi di isteria collettiva, invettive e minacce, l’Avvocato non partecipa più della giurisdizione, ma ne ostacola prezzolatamente l’esercizio, frapponendo cavilli per salvare il criminale di cui è certamente compare. E allora alla gogna pure l’Avvocato perché, in fondo, come si fa a difendere gente così?È un circolo vizioso, si diceva, per rompere il quale basterebbe forse un poco di ragionevolezza, che però oggigiorno è merce assai rara. Se ne potrebbe prendere a prestito da tutti quelli che gli ingranaggi del processo hanno assaggiato sulle loro carni, scoprendo, quand’anche colpevoli, che l’Avvocato difende diritti e non delitti. O persino e forse meglio da coloro, nient’affatto pochi, che ne sono usciti indenni nel corpo, ma non sempre nello spirito: gli assolti, gli ingiustamente accusati. Tutti costoro sanno in maniera esperienziale cosa sia per davvero un’indagine, un processo e, prima ancora, il clamore che lo precede; e sanno pure quanto siano vacui i rimedi postumi approntanti dal sistema a questo circo, troppo spesso indegno.Ma essi sanno soprattutto che non sarebbero arrivati sull’altra riva del fosso senza un Avvocato, altro da sé, a garantire il rispetto dei loro diritti.L’Avvocato non è il suo assistito e ogni assistito ha respirato questa elementare verità che chi può dovrebbe spiegare incessantemente per tutte le ore di tutti i giorni. Non fosse altro che al fine di evitare che, per capirlo, si debba prima o poi tutti provarlo sulla nostra pelle.