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Punito il legale che promette di chiedere zero euro di anticipo
Con l’avvio della nuova legislatura, formalizzata tra ieri e oggi con la nomina dei presidenti del Senato e della Camera, e la quasi contestuale entrata in vigore dei nuovi parametri forensi (23 ottobre), dovrebbe partire una nuova stagione per il rafforzamento delle tutele delle attività degli avvocati, tra le cui prossime tappe dovrebbe esserci la legge sull’equo compenso, nella scorsa legislatura arrivata quasi al traguardo, per arenarsi poi nella contrapposizione politica. In questa nuova ondata di misure a tutela dell’avvocatura, assume rilevanza una decisione assunta in sede giurisdizionale dal Cnf il 17 marzo 2022, in base alla quale è vietato pubblicizzare l’assistenza legale a “zero spese di anticipo”. In pratica, la decisione del Cnf stabilisce che costituisce illecito deontologico l’offerta di servizi legali da parte di un avvocato con la promessa di “zero spese di anticipo”, trattandosi di informazione non ispirata al rispetto dei doveri di dignità e decoro della professione. Un tale comportamento ha dato luogo al caso oggetto della decisione RD 65/22 ad una sanzione consistente nella sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per 2 mesi. La motivazione della censura dipende non solo da “forti connotati suggestivi e comparativi, poiché suggerisce al potenziale cliente l’opportunità di avvalersi del servizio legale offerto senza alcun esborso economico, fruendo quindi di una prestazione maggiormente conveniente rispetto a quella di altri professionisti”, ma anche dal fatto che questa “forma di pubblicità, è intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, e pertanto incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, con la tutela dell’affidamento della collettività”. Dunque, questa evidenziazione di un apparente vantaggio economico della prestazione professionale offerta da un avvocato viola i precetti contenuti nell’art. 37 del Codice deontologico forense, che, appunto, vietano qualsiasi forma di reclutamento di clientela non ispirata al rispetto dei doveri di dignità e decoro. È il caso di ricordare che il professionista al quale era diretta la sentenza aveva sostenuto che, pur avendo dato volontariamente a terzi l’incarico di pubblicizzare la sua offerta di servizi legali, con i contenuti che sono stati poi censurati dal Cnf con la decisione in commento, non aveva provveduto a controllarne i contenuti, ma questo per il Cnf non riduceva la sua responsabilità, dato che, di fatto, l’avvocato aveva implicitamente accettato il rischio e le conseguenze di una realizzazione contraria ai principi deontologici richiamati, e dimostrato un’estrema disattenzione verso un’attività assai delicata, quale è quella dell’informazione sull’attività professionale. Inoltre la sentenza in questione stigmatizza ulteriori comportamenti del professionista, quali l’utilizzo dell’immagine di un medico ammanettato, a corredo dell’offerta di prestazioni legali a tutela dell’ammalato, ribadendo che l’Avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza, non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi in genere, e verso la controparte, poiché il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione deve costituire una regola generale dell’agire di ogni Avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.