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«L’esame per l’abilitazione forense è antiquato e presenta profili di incostituzionalità». Sta montando in queste ore la protesta degli aspiranti avvocati che sono stati esclusi dalla prove orali. Solo il 35 per cento dei candidati ha superato le prove scritte dell’esame per l’abilitazione forense. I risultati sono stati resi noti questa settimana. La correzione degli elaborati quest’anno è stata particolarmente complessa. A causa dell’emergenza Covid-19, il sistema adottato non è stato uniforme. Diverse commissioni hanno proceduto alla correzione da remoto altre, e con una tempistica eccessivamente ridotta, in presenza. Tale modus operandi avrebbe finito per condizionare le aspettative di decine di migliaia di candidati che, dopo otto mesi di attesa (le prove scritte si erano svolte a dicembre 2019), hanno ricevuto una valutazione negativa dei loro elaborati priva di motivazione. Il risultato di quest’anno è , dunque, molto al di sotto di quello degli anni precedenti. Sul punto sono tanti i dubbi sollevati da Artan Xhepa, presidente di Aipavv (Associazione italiana praticanti avvocati). L’alto numero di bocciati «testimonia il fallimento di un sistema di verifica anacronistico e che presta da sempre il fianco a numerose illegittimità», afferma Xhepa che annuncia di aver dato mandato allo studio legale Leone–Fell di Palermo, specializzato nelle azioni legali verso le illegittime delle procedure abilitative e concorsuali, di presentare un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro l’attuale impianto dell’esame d’abilitazione. Nonostante i principi di trasparenza che dovrebbero uniformare tutte le procedure selettive, l’esame d’abilitazione forense non prevede un obbligo di motivazione. «In altre parole – spiega i Xhepa - si viene bocciati ma i commissari d’esame non devono neanche spiegare il perché con due righe di motivazione». I commissari, per altro, sono «altri avvocati che potrebbero avere l’interesse a bocciare per non subire la futura concorrenza dei concorrenti». In particolare, «verrà rilevata l’illegittimità costituzionale dell’impianto normativo che disciplina l’accesso alla professione forense per violazione dei vincoli comunitari che garantiscono il rispetto della cosiddetta libertà di stabilimento e di concorrenza e che vietano l’introduzione di ostacoli ingiustificati all’accesso al lavoro». Poi «verrà rilevata la violazione e/o la falsa applicazione della direttiva comunitaria 958/2018 che regolamenta gli esami di accesso alle professioni con titolo abilitante e che sarebbe rispettata ove entrasse integralmente in vigore la disciplina della legge 247/2012 sull’ordinamento forense». La norma sull’ordinamento forense, si ricorderà, non è ancora completamente entrata in vigore. «Con tale ricorso – aggiunge Xhepa - chiederemo di essere ammessi alla successiva fase orale del concorso o, in subordine alla ricorrezione degli elaborati a seguito della disapplicazione delle norme contestate». Contestualmente, «chiederemo che venga sollevata, ove ritenuto necessario, questione di legittimità costituzionale o questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia», prosegue Xhepa, sottolineando che «nel caso in cui l’esito del ricorso non fosse immediatamente quello sperato valuteremo l’opportunità di avanzare ricorso alla Cedu. Il nostro obiettivo non è soltanto tutelare il candidato non ammesso alla prova orale della sessione 2019 - conclude -, bensì quello di rompere gli schemi antiquati che reggono questa modalità di esame così strutturato».