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E dire che il titolo prometteva bene: “Così i tre gradi di giudizio rallentano la giustizia”. Vuoi vedere, ci siamo detti, che anche l’ex procuratore Pignatone si è convertito alla nostra battaglia contro la possibilità di appello da parte della procura in caso di assoluzione dell’imputato? Una posizione che aveva mobilitato giuristi del livello di Paolo Ferrua: “Non v’è dubbio che l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di assoluzione e, di conseguenza, la possibilità di una condanna pronunciata per la prima volta in sede di appello rappresentino una grave ed insanabile contraddizione all’interno dell’ordinamento processuale”, aveva spiegato al Dubbio qualche settimana fa in articolo che dovete assolutamente leggere. Ma ovviamente era un abbaglio, Pignatone nel suo articolo non solo non accenna minimamente alla soppressione dell'appello da parte dei pm, ma addirittura sostiene che la colpa delle lentezze è colpa dei troppi avvocati."In Francia e in Germania - spiega Pignatone- gli avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione sono rispettivamente 50 e 100 a fronte dei 55mila italiani. Ciò significa che all'estero sono gli stessi avvocati abilitati a fare da filtro e a limitare i ricorsi alle questioni più importanti o sulle quali non esista una giurisprudenza consolidata. Questo spiega anche perché le sentenze di quelle Corti sono poche migliaia l'anno a fronte delle oltre 50mila emesse dai giudici di Piazza Cavour, costretti a occuparsi anche di processi di importanza trascurabile e di questioni riproposte all'infinito, dato che comunque conviene fare ricorso sperando nella prescrizione (e, in futuro, nella improcedibilità), o in una nuova legge o in un mutamento di giurisprudenza che capovolga il giudizio o almeno mitighi la pena. Una valanga di decisioni che peraltro implica un certo tasso di contraddittorietà e quindi un'erosione di autorevolezza dell'organo che dovrebbe assicurare l'uniformità della giurisprudenza". Ma c'è altro. L'altro motivo di rallentamento della giustizia, sempre secondo Pignatone, è dato dalla mancata riforma della reformatio in pejus, cioè la possibilità che il giudice, se rigetta l'appello, possa aumentare la pena inflitta in primo grado: "Quanto all'appello - spiega ancora Pignatone-, ci sono Paesi come la Francia che prevedono la reformatio in pejus: il che impone una certa prudenza nell'impugnazione, dato che questa comporta un rischio che l'avvocato e il cliente devono calcolare per non proporre appelli temerari che potrebbero ritorcersi contro l'imputato. Quando si è proposto questo correttivo in Italia siè gridato allo scandalo per la presunta violazione della Costituzione".