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Cartabia
«I giudici, i pubblici ministeri e gli avvocati afghani rischiano attualmente di pagare con la vita per aver contribuito all’opera di giustizia e alla creazione dello Stato di diritto». L’allarme lanciato dalla ministra Cartabia non potrebbe essere più chiaro: dopo la caduta di Kabul nelle mani dei talebani, gli operatori della giustizia, e in particolare le donne, sono esposti a un rischio enorme. E spetta ai singoli paesi, di concerto con le istituzioni europee, garantire la massima solidarietà verso chi ha contribuito fino ad oggi alla promozione dei diritti fondamentali, così evitando di «cancellare gli sforzi profusi negli ultimi vent’anni dai nostri rispettivi governi - sottolinea Cartabia – per promuovere l’indipendenza della giustizia, salvaguardare i diritti e le libertà fondamentali e sviluppare la formazione giudiziaria». L’appello è rivolto in particolare al commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, il cui intervento è sollecitato attraverso una lettera firmata dalla guardasigilli e dal suo omologo Francese, Éric Dupond-Moretti, spagnolo, Pilar Llop Cuenca, e dalla ministra Sam Tanson per il Lussemburgo. «In aggiunta alle numerose azioni già intraprese a livello di Unione Europea per tutelare le donne e gli uomini afgani particolarmente minacciati – si legge nella lettera - noi riteniamo che debba essere esercitata la solidarietà nei confronti degli appartenenti alle professioni legali con una vigilanza particolare. Infatti, il rilascio da parte dei talebani di detenuti già condannati in precedenza fa pesare, in particolare su giudici, pubblici ministeri e avvocati, la minaccia di imminenti rappresaglie». Si tratta di una preoccupazione condivisa fin dalle prime ore della crisi afghana dall’avvocatura istituzionale e dalle associazioni forensi che si sono subito mobilitate per mettere in piedi una rete di sostegno a favore dei colleghi in pericolo attraverso un’attività di monitoraggio internazionale promossa dal Consiglio Nazionale Forense. La stessa guardasigilli riconosce l’impegno e «l’aiuto di associazioni di magistrati e ordini di avvocati» che hanno iniziato «a stilare un elenco di operatori della giustizia che necessitano di una particolare tutela» con l’auspicio – prosegue la lettera – di «poter unire i nostri sforzi per accoglierli quanto prima» e di raccogliere, attraverso un’azione congiunta, le «prove di gravi violazioni dei diritti dell’uomo che fossero commesse dal nuovo regime talebano». «Io stessa negli anni scorsi avevo conosciuto alcune magistrate afgane, con cui ora ho avuto dei contatti. Anche se gli eventi delle ultime ore sembrano andare in tutt’altra direzione, spero comunque di poter fare la mia parte, di concerto con l’intero governo, in aiuto di queste professioniste, che già da mesi vivevano in una condizione di sempre maggiore pericolo», racconta la ministra al Corriere della Sera, raccogliendo l’appello dell’Associazione donne magistrate italiane che ha ricordato come il brutale omicidio di due magistrate della Corte Suprema afghana, avvenuto nei mesi scorsi, preannunciasse una condizione di pericolo sempre maggiore per le donne. Con il «rischio – chiosa Cartabia – che tutto possa tornare a prima delle riforme iniziate nel 2005». Il Csm, intanto, garantisce la massima attenzione in relazione alla crisi afghana e alla tenuta dello Stato di diritto. Tema al quale saranno dedicati i primi incontri una volta ripresi i lavori, al fine di promuovere e aderire alle iniziative sollecitate attraverso l’attività della IX Commissione per gli affari internazionali. Mentre il Cnf ha ribadito nelle scorse settimane «l’impegno a fare rete», con l’ausilio delle commissioni consiliari di riferimento, «recependo e veicolando – spiega la presidente Masi - anche le iniziative dei Coa, dei Cpo, delle associazioni e dei singoli avvocati e avvocate». «Il tutto – aggiunge la presidente Cnf - realizzando iniziative, alcune già in corso, per la salvaguardia dei diritti delle categorie a rischio nonché sollecitando le autorità competenti affinché venga attuata un’adeguata attività di monitoraggio sul rispetto delle convenzioni internazionali e, in sinergia con il Consiglio degli ordini forensi europei (Ccbe) e l’Osservatorio internazionale avvocati in pericolo (Oiad), promuovendo azioni umanitarie finalizzate a conferire aiuti concreti e sostegno mirato a realizzare condizioni ambientali di sicurezza». Come ha ricordato il consigliere del Cnf e presidente dell’Oiad Francesco Caia sul Dubbio, la massima istituzione forense ha quindi sollecitato la creazione di corridoi umanitari internazionali per consentire alle donne afghane che ne fanno richiesta di lasciare il paese, garantendo «il massimo sforzo» a tutela di avvocate e avvocati. L’Oiad, in particolare, si è subito attivato per la vicenda di Latifa Sharifi, la legale afghana impegnata nella difesa dei diritti delle donne respinta a metà agosto all’aeroporto di Kabul mentre tentava di riparare all’estero insieme alla famiglia. «Questo è il momento di agire – spiega Caia - di tentare di fare qualcosa di concreto per aiutare in primis coloro che rischiano la vita restando in Afghanistan».